Roma, 1 dicembre 2023 – L’inflazione è qui per restare? I dati sui prezzi al consumo confermano il tendenziale riassorbimento dell’inflazione, sebbene restino ancora alti i livelli di varie categorie di beni. A settembre l’indice nazionale dei prezzi al consumo è del 5,3% (era il 7,6% a maggio), un valore che porta il livello dell’inflazione acquisita per il 2023 al 5,7%. Distanti da questo livello generale sono gli indici relativi ai beni alimentari nel complesso (8,6%), ai beni alimentari freschi (7,7%) e agli alimentari lavorati (9,1%). Lievita quindi all’8,3% il carrello della spesa, per il quale il dato acquisito per il 2023 è al 9,5%. Due famiglie su tre prevedono che alla fine dell’anno i redditi familiari saranno uguali a quelli dell’anno precedente. Soltanto il 44,1% prevede di riuscire a mantenere gli stessi livelli di risparmio dell’anno passato. Il 48,5% teme invece di vedere i propri risparmi diminuire rispetto al 2022. Il 25,9% prevede un aumento della spesa per consumi, dovuta anche all’incremento dei prezzi.
L’aumento dei tassi di interesse e gli effetti su famiglie e imprese. Nel primo semestre 2023, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, si è osservato un aumento del 5,3% delle richieste di prestiti da parte delle famiglie. Per quanto riguarda i mutui, la riduzione del numero delle domande è pari al 22,4%. Il cambiamento nel quadro di riferimento del costo del denaro ha modificato il profilo di rischio di chi richiede un mutuo per l’acquisto della casa. L’indice di affidabilità delle famiglie a marzo di quest’anno era pari al 12,8% per il complesso delle famiglie, ma con una tendenza al ribasso rispetto a fine 2022 (13,6%) e a fine 2021 (14,8%). Anche il settore delle imprese sta incontrando difficoltà nell’accesso al credito. A marzo di quest’anno, rispetto al marzo dello scorso anno, i prestiti alle imprese del settore manifatturiero si sono ridotti dell’1,5% e nelle costruzioni dell’1,3%. Per le imprese del settore immobiliare la stretta al credito ha raggiunto il 5,0%, mentre nei servizi è negativo per un decimo di punto. Il tasso di deterioramento, benché contenuto nel 2022, è previsto in crescita nel 2024, con valori che toccheranno il 3,8% nel settore delle costruzioni e il 3,6% tra le imprese con meno di 10 addetti.
La casa diventa un centro di costo critico per le famiglie. In Italia sette famiglie su dieci (pari a 18,2 milioni) sono proprietarie della casa in cui vivono. Nelle regioni meridionali il 70,1% delle famiglie, in quelle centrali il 74,5%, al Nord il 69,7%. Sono le caratteristiche anagrafiche a determinare una netta differenza tra i proprietari e gli affittuari. Tra le famiglie formate dai più giovani (under 35) soli o in coppia si registra la minore quota di proprietari. Complessivamente, il 72,5% degli italiani (42,7 milioni) vive in una casa di proprietà. Nei grandi Paesi europei questa quota è nettamente inferiore: il 65,4% dei francesi, il 45,2% dei tedeschi. Più simili a noi greci e spagnoli: rispettivamente, 75,9% e 77,3%. Fatto 100 il valore delle spese riconducibili alla casa nel 2019, a un primo lieve calo nell’anno dell’inizio della pandemia (97,8) è seguita nel 2021 una nuova crescita (100,6). Nel 2022 si rafforza l’aumento in termini reali delle spese per la casa, in particolare per quanto riguarda mobili, elettrodomestici e manutenzione (+4,8% rispetto a tre anni prima).
Il lavoro di comunità svolto dal Terzo settore sul territorio. Gli enti del Terzo settore attivi in Italia sono 363.499 (+62.308 dal 2011), con più di 870.000 dipendenti nel 2020, in aumento di quasi 200.000 unità negli ultimi dieci anni. La maggior parte di queste istituzioni si concentra nel Centro-Nord, dove il numero di enti per 10.000 abitanti è superiore al valore medio nazionale: 70,5 nel Nord-Est, 68,3 nel Centro, 63,1 nel Nord-Ovest. Sono rispettivamente 48,5 e 53,2 ogni 10.000 abitanti gli enti del Terzo settore presenti nel Sud e nelle isole. Più della metà delle istituzioni (63,0%) è impegnata nell’ambito di cultura, sport e ricreazione. Seguono l’assistenza sociale e la protezione civile (9,9%), le relazioni sindacali e la rappresentanza di interessi (6,8%). Rispetto al 2015, risultano in forte espansione il settore della tutela dei diritti e dell’attività politica (+27,3%), l’ambiente (+23,7%) e la religione (+20%), mentre l’attenzione allo sviluppo economico e alla coesione sociale segna una decrescita (-7,1%). Secondo una indagine del Censis, l’84,8% degli enti riconosce nel Terzo settore un attore strategico per l’attuazione di politiche di sviluppo territoriale.
Investimenti esteri in Italia: vincoli persistenti e nuovi strumenti. Tra il primo semestre del 2021 e il primo semestre del 2023 gli Investimenti diretti esteri in entrata hanno registrato una crescita del 40,1%. Rispetto al primo semestre del 2022 si registra però una variazione negativa del 36,1%. Tra i fenomeni che hanno influenzato negativamente l’andamento degli Ide in Italia c’è la politica dei tassi di interesse fortemente restrittiva adottata dalla Bce e la situazione di alta inflazione. Nuove opportunità di sviluppo possono provenire da strumenti dedicati alle aree meno avanzate del Paese. Questo è l’intento delle Zone economiche speciali (Zes) nel Sud, che dal 2024 saranno unificate, creando una struttura unica. Il risultato atteso è una maggiore integrazione delle aziende locali nelle filiere globali e una maggiore presenza di gruppi internazionali interessati a sfruttare la centralità del Mezzogiorno come piattaforma logistica lungo le tre direttrici che attraversano l’Africa, l’Europa e il Medio Oriente.
1 Dicembre 2023