Roma, 5 dicembre 2014 – Il nuovo respiro del manifatturiero italiano. Tra il 2008, con la prima ondata di crisi, e la fine del 2014 l’Italia ha perso più di 47.000 imprese manifatturiere, con una flessione vicina all’8%. La flessione non accenna a diminuire, dato che solo nell’ultimo anno la riduzione nel comparto è stata dell’1,1%, con una fuoriuscita di oltre 5.700 imprese. I comparti in maggiore sofferenza sono quelli dei prodotti in legno, dei mobili, della produzione di pc e di prodotti elettronici, il tessile, i prodotti farmaceutici, la produzione di macchinari, le apparecchiature elettriche e i prodotti in metallo. In questi comparti la flessione del numero di imprese, tra il 2008 e il terzo trimestre del 2014, è stata superiore al 10%. La riduzione del numero di imprese manifatturiere si è accompagnata a una drastica riduzione del valore aggiunto, in caduta libera del 17% tra il 2008 e il 2013. L’Italia ha però rivelato performance eccellenti sui mercati esteri. Ad eccezione del 2009, il livello delle esportazioni ha continuato a crescere e continua l’ascesa dei valori medi unitari all’export dei principali prodotti manifatturieri. Le esportazioni di prodotti hi-tech crescono di oltre il 6% tra il 2012 e il 2013, e del 35% rispetto al 2008. I distretti produttivi hanno registrato un incremento delle esportazioni pari al 4,2% in termini tendenziali nel primo semestre 2014, proseguendo dal 2009 una crescita ininterrotta attestatasi sempre su livelli più elevati di quelli del resto del sistema manifatturiero. Nella prima parte del 2014 si sono registrati i valori delle esportazioni distrettuali più elevati di sempre, pari a più di 42 miliardi di euro.
Qualità per competere: percorsi e strumenti per il sistema produttivo. Tra il 2007 e il 2013 la quota italiana sul commercio mondiale è passata dal 3,6% al 2,8%. Ma dopo l’inevitabile flessione registrata nel 2009 l’Italia è tornata a crescere sul fronte delle esportazioni. Siamo all’11° posto tra i principali esportatori a livello mondiale e al 4° posto tra i Paesi Ue. A molti prodotti italiani vengono riconosciute caratteristiche distintive: artigianalità, design, originalità, funzionalità, contenuto tecnologico attraente, rispondenza alle aspettative del mercato, carattere innovativo, precisione nelle modalità di lavorazione, modalità di vendita e strategie di marketing innovative. I prodotti italiani sono riconosciuti cioè come prodotti di qualità.
Impresa e territorio: scenari in transizione. Tra il 2009 e la prima metà del 2014 il numero delle imprese attive risulta in forte diminuzione, con una flessione del 2,4%, che diviene -7% tra le imprese manifatturiere, -12% in agricoltura, -7,1% nei trasporti e -5,7% nel comparto delle costruzioni. La radiografia territoriale del Censis evidenzia che nei territori in cui si è maggiormente investito in conoscenza e innovazione la crisi ha avuto effetti più attutiti che altrove; nei territori in cui la presenza di reti manifatturiere è più fitta è più evidente la diffusione di nuove competenze innovative utili ad affrontare la crisi; nei territori in cui si attua una commistione tra industria e servizi avanzati le possibilità di uscita dalla crisi e di crescere sono più consistenti rispetto agli ambiti territoriali che puntano sulla manifattura tradizionale.
White economy: opportunità per il sistema-Paese. La white economy, ovvero il vasto insieme di servizi, prodotti e professionalità dedicate alla salute e al benessere delle persone, può essere un’opportunità di crescita per il Paese. Il sistema che attualmente in Italia offre servizi di cura, strumenti diagnostici, farmaci, ricerca in campo medico e farmacologico, tecnologie biomedicali e servizi di assistenza a malati, disabili o ad altre tipologie di soggetti genera un valore della produzione superiore a 186 miliardi di euro annui, il 6% della produzione totale, con un’occupazione superiore a 2,7 milioni di unità. La white economy rappresenta tutto ciò che afferisce, in primo luogo, all’offerta di cure mediche e alla diagnostica, oltre all’assistenza professionale, domiciliare o in apposite strutture per persone disabili, malate, anziane. Questo nucleo centrale di attività si avvale del lavoro di un numero piuttosto consistente di addetti. Nel settore delle prestazioni sanitarie operano 1,2 milioni di occupati (personale medico, paramedico, oltre a quello amministrativo e ad altri profili professionali). Nel perimetro della white economy ricade poi l’industria farmaceutica, che conta 174 fabbriche e più di 6.000 addetti e che in Italia è uno dei comparti industriali con la più elevata spesa di R&S per addetto. Nel cluster produttivo rientra, inoltre, l’industria delle apparecchiature biomedicali e per la diagnostica, che conta poco più di 800 imprese, tra produttori e contoterzisti, e poco più di 1.000 imprese di distribuzione, più di 52.000 addetti e una consistente capacità di esportazione, cresciuta in modo significativo soprattutto tra i primi anni 2000 e il 2008, passando da meno di 3 miliardi di euro di vendite all’estero nel 2000 agli attuali 7 miliardi. Nel cluster va considerato anche il vasto segmento dell’assistenza personale, delle badanti e dell’accompagnamento, che si stima generi più di 9 miliardi di euro di valore della produzione e che appare in forte espansione.
Vivere a consumo zero: le famiglie e la crisi. Nel 2013, per il secondo anno consecutivo, le spese complessive degli italiani si sono attestate su livelli inferiori a quelli dei primi anni 2000. Anche nell’anno in corso i consumi hanno registrato sia nel primo che nel secondo trimestre una variazione negativa in termini tendenziali (-3,6% e -2,9%). Le stime più ottimistiche indicano una variazione di +0,2% a fine 2014. Dal 2010 a oggi, tutte le voci hanno registrato una contrazione, ad eccezione di quelle per la telefonia e le comunicazioni. Negli ultimi sei mesi del 2014, il 62% delle famiglie ha indicato di avere ridotto pranzi o cene fuori casa, il 58% cerca di effettuare piccoli risparmi sulle spese per cinema e svago, il 47% ha cercato di ridurre gli spostamenti con i mezzi propri per cercare di risparmiare sulla benzina e quasi il 44% ha modificato i propri comportamenti alimentari al fine di ridurre gli sprechi, spendere meglio e risparmiare. Se oggi le famiglie italiane disponessero di redditi o di risorse liquide più elevate di quelle che hanno, nel 77% dei casi le metterebbero da parte e l’effetto sulla propensione al consumo sarebbe nullo. Viceversa, il 20% utilizzerebbe le maggiori disponibilità in denaro per effettuare spese consistenti o comunque oltre una certa soglia (ad esempio, per la ristrutturazione di un immobile o per l’acquisto di un’autovettura) e il restante 3% le utilizzerebbe per spese essenziali. Cambiano anche le modalità di consumo grazie al ricorso diffuso a nuovi strumenti di spesa come l’e-commerce. Il Censis stima che negli ultimi sei mesi oltre 7 milioni di famiglie hanno effettuato almeno un acquisto online: il 12% ha effettuato un solo acquisto, mentre il 17% ha effettuato due o più acquisti. Le voci di spesa più frequenti nel ricorso all’e-commerce sono i cd e i libri, seguiti dai device elettronici (tablet, pc, apparecchi fotografici), abbigliamento e accessori, acquisto di una vacanza.
5 Dicembre 2014