Milano, 3 dicembre 2020 – Gli investitori esteri scommettono sul new normal. Due parole che sintetizzano le risposte fornite dal panel degli intervistati alla seconda rilevazione 2020, realizzata da Aibe con la collaborazione del Censis, per sondare l’opinione sulla situazione economica e di fiducia nel nostro Paese a seguito della pandemia. La rilevazione è stata condotta dal 1 al 15 Novembre presso un panel internazionale di società finanziarie, fondi di investimento, imprese multinazionali. Nel dettaglio, l’indagine si è concentrata su due elementi: l’analisi dei fattori che orientano gli operatori esteri nelle decisioni di investimento, analisi che viene sintetizzata nella determinazione dell’Aibe Index sull’attrattività dell’Italia; gli effetti della pandemia e l’analisi sulle misure economiche e di contenimento adottate dal Governo.
Aibe Index sull’attrattività dell’Italia per gli investimenti esteri. L’Aibe Index, l’indice sintetico che misura l’attrattività del sistema-Italia dal punto di vista degli investimenti esteri, è in moderato aumento rispetto alla rilevazione del 2019 (+3,5%), ma rimane abbondantemente sotto la sufficienza lungo una scala che va da un minimo pari a 0 a un massimo di 100: 47,8 nel 2016, 43,3 nel 2018, 44,4 nel 2020. Tra i principali elementi indicati come non attrattivi per l’Italia risultano il carico fiscale (con un indice di attrattività di 4,32 su 10), i tempi della giustizia civile (4,19 su 10), il carico normativo e burocratico (3,58 su 10), il livello di corruzione del sistema (4,68 su 10) e la certezza del quadro normativo (4,71 su 10). Analizzando le priorità di intervento da porre in essere affinché l’Italia migliori il suo grado di attrazione, gli investitori esteri, in linea con le passate rilevazioni, evidenziano la necessità, ora come non mai, di mettere mano a quei fattori che non solo appaiono disincentivanti nelle decisioni di investire in Italia, ma che rischiano di condizionare pesantemente le possibilità di ripresa dei prossimi anni, una volta finita la crisi pandemica. In particolare, il carico fiscale (56,1% delle risposte), il carico normativo e burocratico (56,1%), i tempi della giustizia civile (29,8%) restano al vertice delle raccomandazioni del panel sulla base delle quali intervenire per migliorare la capacità di attrazione degli investimenti. Certezza del quadro normativo, costo del lavoro e flessibilità del mercato del lavoro raccolgono in ogni caso quote di risposte superiori al 20%.
Gli effetti della pandemia e l’analisi sulle misure economiche e di contenimento adottate dal Governo. La seconda area di analisi ha riguardato, nello specifico, gli effetti della pandemia sui flussi di investimento e l’azione di governo nel corso di questi mesi di crisi. La comunità finanziaria internazionale non teme una caduta di appeal dell’Italia come Paese di destinazione degli investimenti esteri, pur prevedendo un moderato deflusso di capitali nel breve-medio termine, secondo una logica precauzionale e in attesa di valutare in maniera più chiara gli effetti della seconda ondata attualmente in corso (50% del panel). Per il 23,2% degli intervistati ci si potrebbe invece aspettare un moderato afflusso di capitali, soprattutto verso quei settori produttivi che hanno registrato una forte domanda interna proprio in conseguenza della pandemia, come il farmaceutico, gli apparecchi medicali, la distribuzione alimentare. Meno probabili l’opzione relativa a un forte deflusso collegato alle incertezze della domanda globale (17,9%) e quella associata alla leva delle risorse dell’Unione europea, rese disponibili per contrastare l’impatto economico e rilanciare il Paese (8,9%). La valutazione del panel sui contenuti dei vari decreti che si sono susseguiti in questi mesi mette in evidenza (37,3% degli intervistati) il fatto che provvedimenti come il blocco dei licenziamenti e la proroga delle misure di integrazione del reddito dei lavoratori in realtà hanno soltanto ritardato gli effetti inevitabili della crisi economica e produttiva. Una quota superiore a un quinto delle risposte segnala inoltre l’effetto di dispersione delle risorse secondo una logica di puro trasferimento monetario, senza peraltro ottenere risultati per contrastare il crescente disagio sociale. Il 16,9% riconosce piuttosto al Governo e ai suoi provvedimenti un effetto positivo ottenuto contro i rischi di tensione sociale. Il 23,7% degli intervistati riconosce invece l’importanza dei provvedimenti finalizzati a scongiurare la chiusura delle imprese a causa della crisi di liquidità conseguente alla caduta della domanda e alle restrizioni imposte dal contenimento del contagio.
Un altro argomento affrontato nella rilevazione autunnale ha messo in evidenza la possibile deriva di estensione della presenza dello Stato nell’economia italiana. Tale deriva si nasconderebbe soprattutto dietro i provvedimenti di sostegno alle imprese e, in particolare, quelle che agiscono in settori strategici come le infrastrutture, i trasporti, le reti. Il 39% del panel non considera eccezionale questa situazione che in realtà sta caratterizzando anche l’azione di altri governi e non teme una caduta di appeal dell’Italia come Paese di destinazione degli investimenti esteri. Di diverso avviso il 30,5% del panel, che però non associa a questa deriva di intervento nell’economia un pregiudizio nel grado di attrattività, data la transitorietà delle misure. Più contenute le percentuali di chi sottolinea la necessità di tali interventi e di chi, all’opposto, paventa un condizionamento negativo rispetto alle possibilità di ripresa e del ruolo delle multinazionali estere nella creazione del Prodotto interno lordo dell’Italia (entrambe con il 15,3% delle risposte).
Infine, facendo riferimento ai contenuti ancora non completamente definiti del Piano di ripresa e resilienza dell’Italia, il panel sostiene la necessità di dare priorità a programmi di digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo italiano e, in subordine, al rafforzamento del capitale umano attraverso investimenti in istruzione, formazione, ricerca e cultura. Accanto a ciò, il profilo delle cose da fare si articola, in primo luogo, sulla transizione ecologica e sulla salute e, in secondo luogo, sul miglioramento del sistema infrastrutturale legato alla mobilità, infine sulla necessità di affrontare il tema di una maggiore equità sociale, riducendo a un tempo le disuguaglianze di genere e territoriali.
3 Dicembre 2020