L’economia in generale: la congiuntura è più negativa di quanto finora compreso
Di seguito alcuni dati di riferimento che ben evidenziano lo stato reale dell’economia italiana in generale:
- non va per niente bene. Per il 62,1% dei commercialisti la situazione economica attuale dell’Italia è molto o abbastanza negativa, la pensa così il 61,8% dei commercialisti nel Nord-Ovest, il 54,1% nel Nord-Est, il 68,2% nel Centro e il 65,9% nel Sud. Per il 44,6% dei commercialisti la situazione è peggiorata nell’ultimo anno, mentre per il 43,7% è rimasta uguale e solo per l’11,7% è migliorata;
- tra un anno non migliorerà. Per il 48,8% dei commercialisti tra un anno la situazione rimarrà negativa come oggi, per il 38,7% peggiorerà ancora e solo per il 12,5% migliorerà. Così vince la percezione che l’oggi è peggio di ieri e il domani sarà uguale o peggiore dell’oggi;
- nel lungo periodo vince il pessimismo. Il 56,4% dei commercialisti è pessimista sul futuro dell’economia italiana tra cinque anni e lo sono il 55,8% dei commercialisti nel Nord-Ovest, il 54,9% nel Nord-Est, al 56,2% nel Centro e al 58,7% nel Sud (tab. 1);
- maledetta semplificazione, che tutto ha complicato. La retorica della semplificazione rilanciata da politica e media nei fatti ha generato un contesto molto più complicato per le imprese e tra cinque anni, secondo la maggioranza dei commercialisti, tutto sarà più complicato, con maggiori difficoltà nel gestire una impresa (54,7%), nei rapporti con il fisco (53,8%) e con le banche (60%) (fig. 3).
Ecco pochi e semplici dati con cui i commercialisti delineano un quadro preciso di presente e futuro dell’economia italiana, che diventa ancora più significativo grazie alla distinzione tra famiglie e imprese, e tra imprese per dimensione.
Rischio smottamento per le microimprese
Per quanto riguarda le imprese emerge che:
- più sei piccolo, peggio stai. Per il 46,6% dei commercialisti la situazione economica delle imprese clienti è molto o abbastanza negativa, per il 33,9% è né positiva né negativa, per il 18,3% è molto o abbastanza positiva. In particolare, la situazione è molto o abbastanza negativa per il 53,4% dei commercialisti con clienti microimprese e scende al 32,5% tra i commercialisti che seguono imprese di fatturato superiore (tab. 2);
- e anche l’erogazione delle retribuzioni mensili dei dipendenti si inceppa. Per il 58,3% dei commercialisti nell’ultimo anno alle proprie imprese clienti è capitato di ritardare il pagamento delle retribuzioni mensili dei dipendenti. Un fenomeno che ha riguardato tutte le imprese clienti e i territori, perché si arriva al 51% nel Nord-Ovest, al 45,5% nel Nord-Est, al 65,3% nel Centro e addirittura al 75,5% nel Sud (tab. 3). Per il 55,6% dei commercialisti nell’ultimo anno vi sono stati ritardi nel pagamento delle spettanze ai dipendenti in uscita dall’azienda o pensionati, con valori percentuali che arrivano al 58,6% nel Centro e al 68,1% nel Sud. Ritardare il pagamento degli stipendi è un segnale forte di difficoltà economica che è pronta a diventare crisi sociale;
- e comunque la catena dei pagamenti è ingolfata. Per il 91,3% dei commercialisti negli ultimi dodici mesi le imprese clienti hanno avuto ritardi nella riscossione dei crediti: una situazione trasversale a territori e dimensioni delle imprese clienti (tab. 4). E per il 52,6% nell’ultimo anno i ritardi dei clienti si sono allungati: è così per il 52,4% dei commercialisti con microimprese come clienti e scende al 43,9% per i commercialisti con imprese clienti con fatturato superiore (tab. 5). D’altro canto, per l’87,7% dei commercialisti le imprese clienti negli ultimi dodici mesi hanno pagato in ritardo i fornitori. E rispetto a dodici mesi fa, tra chi ha dichiarato che le imprese hanno pagato con ritardo i fornitori, per il 43,6% sono aumentati (il 45,9% tra i commercialisti con microimprese clienti, il 30,9% per chi ha imprese di fatturato superiore), per il 49,5% sono rimasti uguali (il 47,7% contro il 59,1%) (tab. 6). Sono i numeri di un cortocircuito fatto di crediti che non si riesce a riscuotere e pagamenti rinviati. L’acqua-moneta non circola e il cavallo-economia non può bere;
- la (non) riscossione dei crediti verso la Pa. Per il 60% dei commercialisti le proprie imprese clienti hanno subito ritardi nei pagamenti dalla Pa nell’ultimo anno: di questi, nell’ultimo anno per il 30,6% il ritardo si è allungato, per il 53,5% è rimasto uguale e solo per il 7,7% si registra una riduzione, in controtendenza con una pubblicistica che invece ha raccontato come in via di superamento queste criticità. Trasversalmente ai territori e alle dimensioni di impresa, la Pa si conferma un cattivo pagatore, stressando i già precari bilanci aziendali (tab. 7);
- la spina del fisco. Negli ultimi dodici mesi per il 52,6% dei commercialisti è aumentato il numero di imprese clienti che effettuano i versamenti al fisco (Iva, ecc.) mediante ravvedimento operoso oltre la scadenza: il 54,7% dei commercialisti con clienti microimprese, mentre si scende al 25,8% tra quelli con clienti imprese di grandi dimensioni. Sempre nell’ultimo anno, per il 47,7% dei commercialisti è aumentato il numero di imprese con debiti scaduti e/o non pagati (per il 43% è rimasto uguale, per il 5,9% è diminuito). Il dato arriva al 51,5% tra quelli con clienti microimprese, mentre è il 22,5% tra chi ha clienti imprese più grandi. La spina del fisco genera dolore vero in particolare per le imprese più piccole (tab. 8). Ulteriori indicazioni sulle relazioni con il fisco emergono dalla fondatezza o meno delle lettere di compliance (comunicazioni con cui l’Agenzia delle Entrate segnala al contribuente la natura dell’anomalia emersa tra i dati dichiarati e quelli attesi, dando la possibilità di presentare apposita documentazione tesa ad accertare la infondatezza). Il 53,5% dei commercialisti dichiara che nessuna o poche lettere si sono rivelate infondate: è questo un segnale di aziende in difficoltà anche nel pagare le tasse. Dall’altro lato, per il 28,3% dei commercialisti le lettere arrivate si sono poi rivelate infondate (fig. 4). E per il 61% dei commercialisti nell’ultimo anno il numero di lettere poi rivelatesi infondate è rimasto uguale, mentre è aumentato per il 20,2% e l’11,7% rileva una diminuzione;
- anche con le banche emergono sacche in sofferenza. Per il 38,9% dei commercialisti è aumentato il numero di imprese clienti che hanno richiesto un finanziamento bancario di breve periodo per scoperti di conto corrente, sconti commerciali, anticipi su fatture e per 35% dei commercialisti sono aumentate le imprese che hanno richiesto un finanziamento bancario di medio-lungo periodo. Anche su questo fronte emerge che, trasversalmente alle dimensioni della clientela, le imprese finiscono nel girone della sofferenza (tab. 9).
La matrice incassi-pagamenti segnala paradigmaticamente le difficoltà delle imprese in particolare più piccole, che si scaricano anche sui dipendenti, con i ritardi nell’erogazione delle retribuzioni, e anche sui fornitori. In tutto ciò la Pubblica Amministrazione resta un cattivo pagatore, lontano dal ruolo di buon regolatore dei mercati.
Meno delle imprese, ma traballa: la situazione economica delle famiglie italiane
Sebbene meno delle imprese piccole e piccolissime, anche la situazione economica delle famiglie secondo i commercialisti traballa sotto i colpi delle pressioni congiunturali:
- in equilibrio instabile. Per il 36,2% dei commercialisti la situazione economica delle famiglie è molto o abbastanza negativa (42,1% nel Centro, 46,4% nel Sud), per il 43,3% né positiva né negativa, per il 16,7% è molto o abbastanza positiva. Insomma, le cose non vanno certo bene per le famiglie, tuttavia è evidente che sono meno in sofferenza delle imprese, in particolare di quelle piccole (tab. 10);
- però sono da monitorare con attenzione le minoranze in sofferenza con fisco e debiti. Oltre un terzo dei commercialisti segnala un incremento del numero di famiglie che effettuano i versamenti al fisco (Irpef, ecc.) mediante ravvedimento operoso oltre la scadenza e una quota analoga di commercialisti indica che è aumentato il numero di famiglie con debiti scaduti e/o non pagati al fisco. Famiglie che non riescono a star dietro al ritmo dei pagamenti e sono costrette a trovare vie d’uscita. È un’area minoritaria rispetto a quella delle famiglie che non hanno problemi con fisco o con i debiti e tuttavia è un’area non così irrilevante numericamente e soprattutto allude ad una sofferenza a rischio espansione (figg. 5 e 6).