Vivere in Italia assolutamente sì, investirci non so
L’indagine sui possessori di patrimoni di almeno 500.000 euro, clientela del private banking, ha consentito di evidenziare cosa pensano e come agiscono le persone benestanti.
In primo luogo, spicca il rischio Paese: il 53,4% dei detentori di patrimoni dice che pensare al futuro della vita in Italia, tra dieci anni, lo preoccupa; il 23,4% è incuriosito e solo l’8,3% si sente caricato come dinanzi a una sfida. Non è certo un sentiment che possa incentivare a investire nel Paese.
D’altro canto, il 68,2% dei benestanti intervistati dichiara che, se ne avesse la possibilità, comunque non se ne andrebbe dall’Italia: il 42,2% perché ha in Italia le sue radici e non potrebbe vivere altrove e il 26,0% perché l’Italia resta uno dei Paesi del mondo in cui si vive meglio (tab. 3).
Ecco gli stati d’animo contraddittori dei clienti private: l’Italia è il mio Paese dove comunque voglio vivere, ma se penso a investire, allora lo percepisco come un Paese esposto a rischi, che nel lungo periodo generano preoccupazione.
La sfiducia però, come per il resto degli italiani, tocca non tanto i soggetti dell’economia italiana e le comunità, ma lo Stato. Infatti, il 90,7% dei clienti private è convinto che lo sviluppo dell’economia italiana sia importante anche per loro, perché costituisce la base imprescindibile (per il 47,8%) del proprio benessere o perché è fonte di benefici anche per le proprie attività (per il 42,9%) (tab. 4).
Nell’indicare i criteri con cui decidono o accettano di fare investimenti, il 62,0% dei benestanti dice di essere attento a verificare se e in che misura gli investimenti generano valore per i territori italiani, mentre è solo il 40,5% (ed era il 44,6% lo scorso anno) a dire di valutare positivamente l’ipotesi di finanziare lo Stato italiano con l’acquisto di titoli del debito pubblico.
In sintesi: per i benestanti nelle decisioni di investimento c’è un alto spread tra soggetti dell’economia italiana e Stato italiano.