Roma, 2 dicembre 2016 – Il perdurante carattere strategico della produzione manifatturiera. L’Italia è ancora al 2° posto in Europa per valore della produzione manifatturiera. I sette anni di crisi hanno però lasciato il segno: il manifatturiero, che valeva il 17,6% del valore aggiunto totale nel 2008, nel 2014 si è attestato sul 15,6%. Nell’intervallo 2008-2013 si è ridotto del 13,5%, cioè di 30,4 miliardi di euro, mentre l’economia italiana nel complesso registrava una contrazione del 7%. Tra il 2009 e il primo semestre del 2016 la manifattura ha perso 54.992 imprese, corrispondenti al 9,2% del totale (a fronte del -2,5% relativo all’intera economia italiana). Nonostante ciò, sul totale della spesa delle imprese italiane per ricerca e sviluppo l’incidenza del manifatturiero è del 72,1%. Il settore contribuisce in misura preponderante all’export (397 miliardi di euro, l’80,4% del totale) e collocare l’Italia al 10° posto tra i Paesi esportatori del mondo, con una quota del 2,8% dell’export globale. E il manifatturiero realizza un saldo commerciale positivo di 93,6 miliardi nel 2015 (il 5,7% del Pil nazionale). Nel 2015 si sono iscritte ai registri camerali 17.465 imprese manifatturiere (+2,3% rispetto al 2014) e nel primo semestre del 2016 le iscrizioni hanno toccato le 9.883 unità. Le cessazioni stanno diminuendo anno dopo anno: nel 2013 erano 31.177, nel 2015 il dato si è ridotto a 27.796 unità.
Il deficit di reputazione (vera e presunta) del sistema-Italia. L’Italia occupa il 43° posto nella graduatoria mondiale proposta dal Global Competitiveness Index per il 2015 e il 44° per il 2016, mostrando un deficit reputazionale accumulato negli anni. Se si considera però che una quota significativa del differenziale di competitività che gli indici restituiscono è riconducibile alla sfera di azione dei soggetti pubblici, il posizionamento dell’Italia non deve stupire più di tanto. Basta considerare il basso livello di rispecchiamento dei cittadini nei governi nazionali e locali che ci colloca agli ultimi posti in Europa: sono solo il 22% del totale gli italiani che dichiarano di fidarsi delle istituzioni locali, contro una media europea del 47%, con punte del 71% in Germania. La fiducia nei soggetti del governo centrale è del 16% (31% la media europea e 50% in Germania).
Nuovi imprenditori cercasi. In meno di tre anni le startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese hanno fatto registrare un aumento significativo: dalle 1.486 del 2013 alle 6.323 della fine di settembre 2016. Nel primo semestre del 2015 le imprese cessate sono state meno dell’1% del totale. Le grandi città catalizzano il 37% delle startup innovative, quasi il 50% degli incubatori e oltre il 20% dei fablab nazionali. Milano e Roma sono in testa, seguono Torino, Napoli, Bologna e Firenze. Il settore produttivo che caratterizza la maggior parte di queste imprese è la creazione di software, quasi il 20% opera nel manifatturiero. Nei 115 fablab censisti in Italia nel 2016 da Censis e Make in Italy i makers creano i prototipi funzionali necessari per poi giungere a una produzione industriale su grandi numeri. L’attrezzatura imprescindibile e presente nella quasi totalità (il 98,9%) dei fablab è la stampante 3d.
L’insospettabile forza produttiva delle «terre alte». Un recente studio di Censis e Trentino School of Management ribadisce che la montagna italiana ha dimensioni consistenti (il 54,3% della superficie nazionale, con circa 11 milioni di abitanti, ovvero il 17,9% della popolazione complessiva), non subisce più a livello aggregato l’impoverimento demografico dei decenni scorsi (tra il 2004 e il 2014 la popolazione montana è cresciuta dell’1,3%), possiede un capitale umano di livello non inferiore a quello medio del Paese. L’indice di vecchiaia è più elevato della media, ma la quota di persone con basso livello di istruzione è paragonabile alla media (il 31,2% contro il 29,8%) e i laureati nei comuni totalmente montani sono l’8,3% contro il 10,8% delle aree di pianura. Nei territori montani si generano 235 miliardi di euro di valore aggiunto (il 16,3% della ricchezza nazionale nel 2014), con un valore aggiunto pro-capite di poco inferiore alla media del Paese (21.600 euro/anno contro 23.800). Il tasso di imprenditorialità è addirittura più elevato nei comuni totalmente montani che in quelli non montani (86,7 imprese ogni 1.000 abitanti contro 84,7).
Tutto il valore dell’economia della salute. La filiera della White Economy italiana (le attività pubbliche e private riconducibili a diverso titolo alla cura, all’assistenza e al benessere delle persone) presenta un valore della produzione che supera i 290 miliardi di euro, pari al 9,4% del totale nazionale, come emerge da una ricerca Censis–Unipol. Oltre il 40% è prodotto nell’ambito dei servizi sanitari. La produzione e il commercio di prodotti farmaceutici e dispositivi medicali superano il 17%. La previdenza pubblica e quella complementare incidono per quasi il 20%. Incide per oltre il 10% l’ambito dei servizi di cura alle persone. Nel complesso, l’occupazione generata direttamente o indirettamente equivale a circa 3,8 milioni di unità di lavoro, ovvero il 16,5% del totale nazionale. Ogni 100 euro spesi nell’ambito della White Economy (per investimenti, per aumentare la produzione, per migliorare i servizi, ecc.) sono in grado di attivare 158 euro di reddito complessivo nel sistema economico nazionale. E 100 nuove unità di lavoro attivano 133 unità di lavoro in altre branche dell’economia italiana.
La tenuta dell’economia marittima negli anni della crisi. Il monitoraggio effettuato dal Censis nel 2015 in collaborazione con la Federazione del mare mostra che il cluster marittimo nazionale ha tenuto negli anni della crisi. Si rileva un contenimento del valore della produzione (32,6 miliardi di euro: -3,5%), ma rimane stabile il contributo al Pil del Paese (2%). Anche dal punto di vista occupazionale si conferma la rilevanza del cluster marittimo. Nel 2013 le unità di lavoro direttamente impiegate sono quasi 170.000, in leggera flessione rispetto al 2011 (-1,1%). Le unità di lavoro totali (dirette, a monte e a valle) sono invece leggermente aumentate, superando le 471.000 unità. Ogni 100 euro spesi nell’ambito del cluster marittimo (ad esempio, per investimenti o approvvigionamenti) sono in grado di attivare 255 euro di reddito complessivo nel sistema economico nazionale. E 100 nuove unità di lavoro operanti nel cluster marittimo attivano 176 unità di lavoro nell’economia italiana.
Innovazione vs. decrescita: la scelta degli italiani per uscire dalla crisi. In base ai dati dell’indagine sulla cultura dell’innovazione, realizzata dal Censis per conto di Cotec-Chebanca!, il 57,1% degli italiani ritiene che non tutti riescono a beneficiare in ugual misura dei processi innovativi e che dunque i divari sociali vanno allargandosi. Il 41,4% ritiene invece che l’innovazione consenta di abbassare le soglie di accesso ad alcuni beni e servizi che prima erano alla portata di pochi e che quindi contribuisca alla riduzione dei divari. Si registra però una diffusa preoccupazione (da parte del 39,8% degli italiani) rispetto alla riduzione di opportunità lavorative come conseguenza dell’innovazione. Il 31,6% è convinto invece che le innovazioni contribuiscono ad aprire scenari occupazionali in ambiti inesplorati, allargando la partecipazione al lavoro. Il 28,5% si colloca a metà strada, ritenendo che le opportunità di lavoro resteranno sostanzialmente le stesse.
2 Dicembre 2016