Roma, 7 dicembre 2018 – Mal di casa: l’eclissi dell’intervento pubblico e l’emergenza senza risposte. Cresce il disagio abitativo anche per l’estrema debolezza del sostegno pubblico. Troppo esiguo, obsoleto e in costante riduzione è il patrimonio di edilizia sociale pubblica, che su tutto il territorio nazionale è oggi ridotto a meno di 1 milione di alloggi (contro gli oltre 5 milioni della Francia, ad esempio). Non solo la realizzazione di nuovi alloggi sociali è ridotta ai minimi termini (appena 4-5.000 unità all’anno), ma anni di vendite del patrimonio (poco meno di 200.000 le abitazioni vendute dal 1993 a oggi) hanno ridotto il già contenuto stock di alloggi sociali. In attesa c’è però una domanda inevasa enorme: almeno 650.000 famiglie in graduatoria. Nel 2017 gli sfratti emessi (che ormai in 9 casi su 10 sono riferibili alla morosità dell’inquilino) sono stati quasi 60.000, quelli eseguiti 32.000: in pratica in Italia ogni giorno lavorativo oltre 100 famiglie vengono sfrattate.
La rete autostradale, spina dorsale del policentrismo italiano. Tra il 1970 e il 2017 l’estensione della rete monitorata (quella delle autostrade in concessione) è aumentata di circa il 70%, ma l’incremento era già stato del 45% al 1980. Fortissimo invece l’incremento del traffico, che in quasi cinquant’anni è stato del 460%. Dal 1970 al 2017 è in particolare il traffico pesante a registrare l’incremento più significativo (+600%), rispetto a quello dei mezzi leggeri (+430%). Negli ultimi decenni gli interventi sulla rete autostradale sono stati indirizzati prevalentemente a un incremento degli standard di qualità e di sicurezza. Tra il 2001 e il 2017 l’estensione della rete in concessione è aumentata solo di 410 km (+7,3%), ma la parte di questa ancora a sole due corsie è scesa dal 73,4% al 67,8%.
Prima del cantiere: project review e dibattito pubblico per le grandi opere. Negli ultimi anni sul fronte della revisione e della rimodulazione dei grandi progetti si sono registrati significativi passi avanti, sia sul fronte delle opere già progettate e decise, sia su quello delle opere ancora in fase di definizione, per le quali l’iter progettuale è appena al livello dello studio di fattibilità. Un caso significativo è quello della linea ferroviaria Torino-Lione. Il progetto preliminare del 2011 prevedeva, nella tratta italiana, opere consistenti di adduzione al tunnel di base: 84 km di nuova linea ferroviaria, che grazie al lavoro di revisione operato dalla Struttura tecnica di missione del Ministero e dall’Osservatorio, e alla scelta di utilizzare in gran parte la linea storica (rimandando la realizzazione della Gronda merci di Torino), sono stati ridotti a 25 km. Ulteriori potenziamenti, con realizzazione di nuovi binari, sono rimandati a valutazioni successive all’entrata in esercizio del tunnel e della linea. Così facendo la spesa ipotizzata per la tratta nazionale italiana è scesa da 4,4 a 1,7 miliardi di euro. Grazie anche ad altre scelte (come l’esclusione del tunnel dell’Orsiera dal programma di interventi), il costo complessivo previsto per la linea Torino-Lione si è praticamente dimezzato, passando da 8,9 a 4,3 miliardi. Si conferma peraltro la riduzione dei tempi di percorrenza tra Torino e Lione, che passeranno da 3 ore e 43 minuti a 1 ora e 56 minuti.
Rappresentare i territori nell’epoca dei flussi e delle città. Dal 2014 abbiamo in Italia 10 nuovi enti che si chiamano Città metropolitane. A questi se ne sono aggiunti altri 4 voluti dalle Regioni a statuto speciale. Territori ampi, ma con densità abitativa non certo da area metropolitana (470 abitanti/kmq in media, con un massimo di 2.630 abitanti nell’area napoletana e un minimo di 172 in quella reggina). Il confronto con altre realtà europee mostra che la Métropole du Grand Paris ha più di 7 milioni di abitanti, con una densità di circa 8.600 abitanti/kmq, la Greater London conta 8,8 milioni di abitanti, con una densità di circa 5.600 abitanti/kmq, l’area metropolitana di Berlino supera i 5 milioni di abitanti, con una densità di 5.700 abitanti/kmq. La demografia del nostro Paese rimanda al carattere territorialmente distribuito della popolazione residente: gli attuali 111 capoluoghi di provincia raccolgono nel complesso poco più di 18 milioni di abitanti, ossia non più del 30% del totale.
L’aumento dei divari interni nelle regioni italiane. La variabilità infra-regionale è aumentata nell’ultimo decennio per tutti i principali indicatori socio-economici. Le regioni che divaricano al loro interno non sono solo quelle dove è presente un grande magnete metropolitano, che determina fenomeni di accentramento che possono incidere sulla misura della variabilità regionale complessiva. L’aumento dei divari interessa quasi tutte le regioni. Ad esempio, il Pil pro-capite mostra una variabilità media infra-regionale di 6.160 euro/anno, con un aumento di 750 euro/anno nell’ultimo decennio.
Ai margini del margine: il peso dei comuni periferici nelle aree del Mezzogiorno. Le aree interne raccolgono il 60% circa della superficie nazionale, il 53% dei comuni italiani e una popolazione di circa 13,5 milioni di abitanti. Ma anche le aree interne possono essere più o meno marginali e dunque molto diverse tra loro. I comuni periferici e ultraperiferici sono 1.842 (il 23,2% del totale) e risultano maggioritari in alcune regioni, come la Basilicata (84,7%) e la Sardegna (59,7%), e sono molto presenti in Trentino Alto Adige (47,6%), Sicilia (44,9%), Molise (43,4%) e Calabria (40,3%). La popolazione presente in questi territori (circa 4,5 milioni di abitanti) evidenzia profonde differenze su base geografica. Nelle aree del Mezzogiorno si arriva al 15,7% (con una punta del 63,7% in Basilicata), nel Nord-Ovest non si va oltre il 2,6%. La dinamica demografica degli ultimi 10 anni è negativa per i comuni periferici e ultraperiferici (-2% a fronte di un valore complessivo nazionale del +4,1%), con punte di impoverimento demografico che superano il 10% in Friuli e Molise.
Quando il Sud tiene in piedi l’offerta formativa superiore delle regioni del Nord. È più vivo che mai il fenomeno dell’emigrazione massiccia di studenti dai territori più marginali economicamente verso i poli metropolitani del Centro e del Nord. Sono 172.000 gli studenti che partendo da una regione del Sud sono iscritti ad un corso di laurea in un’università del Centro-Nord (pari all’11% di tutti gli iscritti all’università), mentre sono poco più di 17.000 quelli che compiono il percorso inverso. Il saldo netto fra gli ingressi e le uscite in queste regioni, sin dalla prima immatricolazione ad un percorso universitario (laurea triennale o magistrale a ciclo unico), risulta molto negativo per alcune regioni del Sud (Puglia -35.000 studenti, Sicilia -33.000, Calabria -23.000). Le regioni in grado di calamitare la maggior parte degli studenti fanno registrare un saldo fra arrivi e partenze molto positivo: Lazio (+48.607), Emilia Romagna (+32.918), Lombardia (+24.449) e Toscana (+14.268).
7 Dicembre 2018