Roma, 4 dicembre 2009 – La sanità nell’anno della crisi. Nell’anno della crisi si segnala una crescita delle spese per la salute degli italiani (molto per l’11,5%, abbastanza per il 27,5%, poco per l’8,3%), in misura maggiore tra i soggetti nelle fasce di reddito più basso. Poco meno di un terzo degli italiani spende di più anche per le prestazioni a carico del Ssn per le quali è previsto il ticket, mentre il 27,8% indica un aumento di spesa per analisi e radiografie a pagamento intero, il 29,4% per il dentista, il 31% per i farmaci senza ricetta, il 35,6% per le visite specialistiche a pagamento intero. L’impatto della crisi sembra dunque concretizzarsi in un peggioramento delle possibilità di accesso ai servizi sanitari, anche pubblici, che pesa di più proprio sui meno abbienti. Quasi il 40% dei soggetti di livello socio-economico basso è stato costretto a rinunciare per motivi economici a prestazioni sanitarie e il 37,8% ha ridotto l’acquisto di farmaci a pagamento.
Le cure primarie per ripartire dal territorio. L’ospedale mantiene il ruolo di catalizzatore della risposta sanitaria. Sono circa 55.000 al giorno gli accessi al Pronto soccorso. Solo nel Lazio nel 2008 gli accessi al Pronto soccorso hanno toccato quota 2.125.823, in gran parte ascrivibili a codici verdi (72,9%) e bianchi (9,7%). La strutturazione della primary care risulta invece in difficoltà, ancora troppo caratterizzata da accessibilità limitata e da isolamento professionale. Ma i medici di medicina generale godono di un ampio favore tra gli italiani: il 75,9% esprime soddisfazione circa l’adeguatezza del servizio.
Conviene fare figli in Italia? Il tasso di fecondità italiano rimane tra i più bassi d’Europa: il numero di nati per 1.000 donne in età fertile nel 2007 è pari a 40,3 contro 41,9 per 1.000 in Grecia, 43,1 in Spagna e 54,8 in Francia. Dopo il primo figlio, mediamente partorito in età relativamente avanzata, molte madri italiane non ne hanno altri pur desiderandoli: il 20,6% per motivi economici, il 9,5% a causa del lavoro. Il sistema di tutele della maternità appare inadeguato e troppo legato al vincolo della condizione professionale. Dai dati disponibili (al 2005) emerge che il 55,2% delle madri che avevano avuto un figlio era costituito da donne occupate: a loro è spettato l’84% delle prestazioni economiche per la maternità, pari mediamente a poco meno di 5.000 euro. Ma alle disoccupate (il 5,2% delle madri) è spettato il 2,1% dell’importo e a quelle in condizione non professionale (il 39,6% delle madri) il 13,9% delle prestazioni, pari a circa 1.137 euro (assegni di maternità erogati per le donne disoccupate e in condizione non professionale).
Politiche per l’inclusione sociale: le difficoltà delle comunità territoriali. Il disagio sociale è fortemente territorializzato, come emerge dalla graduatoria provinciale ottenuta in base a un indice sintetico costruito a partire da 14 indicatori semplici. Il gap tra le province del Centro-Nord e quelle del Sud è marcato e relativo a tutte le dimensioni del disagio considerate, da quelle private (reddito e consumi) a quelle di natura collettiva come le infrastrutture. I contesti provinciali più problematici sono: Palermo, Agrigento, Matera, Lecce, Caserta, Crotone, Vibo Valentia e Caltanissetta, mentre Trieste, Aosta, Belluno e Siena sono le province con livello di disagio sociale più basso. In Italia 1 milione 50 mila famiglie (pari al 4,4% del totale) vivono in condizione di «povertà alimentare», con un divario territoriale enorme tra regioni come Veneto (2,3%), Toscana (2,4%), Lazio (2,7%), Trentino Alto Adige (2,9%) e altre come Calabria (6,2%), Basilicata (9,1%), Sicilia (9,2%) e Sardegna (10,8%).
Meno risorse e più conflitti nella distribuzione della spesa sociale. La crisi avrà sicuramente l’effetto di rendere più acuta la competizione sociale e territoriale per le risorse destinate alla protezione sociale. La dinamica degli ultimi 6 anni ha visto una crescita ridotta delle voci «anzianità e superstiti» e «sanità» (rispettivamente aumentate a un tasso medio annuo dell’1,6% e del 3,5%, contro l’1,9% e il 3,6% della Ue15) e incrementi più consistenti per le funzioni «disabilità» (+1,9% in Italia, +1,7% medio europeo), «famiglia e minori» (+5,2%, +2%), «housing ed esclusione sociale» (+9,3%, +4,2%) e soprattutto «disoccupazione» (+5,3%, +0,9%). Per stabilizzare il rapporto pensioni/Pil occorrerebbe un tasso di crescita medio annuo per il triennio 2008-2010 pari all’1,8%, lontano dagli andamenti previsti per i prossimi anni. Gli italiani sono tra i meno convinti della capacità del sistema di protezione sociale di assicurare una copertura adeguata (il 37% contro un valore medio dell’Europa a 27 pari al 48%). D’altra parte, l’impatto della crisi sulla previdenza complementare ha determinato un rallentamento delle adesioni nei primi 9 mesi del 2009 (appena +3% rispetto al mese di dicembre 2008) e diffusi problemi nei pagamenti: circa 520 mila iscritti non hanno versato o hanno versato in ritardo i contributi previsti.
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4 Dicembre 2009