Il primo aspetto da considerare quando si parla di tecnologie sanitarie e di protesi acustiche è l’ampiezza e la complessità del problema che contribuiscono ad affrontare.
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce deficit uditivo l’inabilità a sentire come una persona normo udente. L’ipoacusia è legata a diversi fattori e “agli effetti combinati di tossicità ambientale in termini di rumore e danno metabolico-ossidativo, invecchiamento, malattia ed ereditarietà”.[1].
All’identificazione dei problemi di ipoacusia possono concorrere diverse procedure e, accanto alla valutazione audiologica e all’otoscopia, hanno un ruolo importante anche i questionari di autovalutazione sulla cui base i pazienti riferiscono la loro percezione di presenza di un “udito non normale” basandosi sulle risposte a diversi item relativi alla percezione, discriminazione, localizzazione, lateralizzazione del suono e la discriminazione del parlato nel silenzio e nel rumore.
In termini epidemiologici, la prevalenza in Italia dei problemi uditivi è stimata pari al 12,1% della popolazione[2], circa 7 milioni di italiani con ipoacusia con una significativa differenziazione tra le classi di età e un aumento significativo con l’invecchiamento (da percentuali che non superano il 10% della classe di età 13- 45 anni al 25% di chi ha dai 61 agli 80 anni, fino al 50% tra gli over 80).
Alla luce dell’invecchiamento della popolazione, utilizzando anche le stime di prevalenza per classe di età dell’AIRS (Associazione Italiana Ricerca Sordità) si evince una generale crescita progressiva del numero di persone con problemi di ipoacusia: si va infatti dai 6.923.000 del 2012 ai 7.258.000 del 2018, con un incremento complessivo del 4,8% nel periodo considerato. Tuttavia, pur a fronte del ben più consistente numero rappresentato dalle persone con 60 anni e più (oltre 5.000.000 nel 2018), l’incremento maggiore si riscontra, oltre che nella classe degli ultraottantenni, nella classe d’età di età intermedia (dai 46 ai 60 anni) quella più esposta ai rischi di tipo ambientale (+9,8% contro il +7,7%) (tab. 1).
Si tratta inoltre di una quota che appare più elevata tra gli uomini: 13,4% contro il 10,4% delle donne.
Una considerazione a parte meritano le persone con problemi gravi di sordità che secondo le rilevazioni dell’Istat ammontano a poco più di un milione di persone dai 15 anni in su, di cui il 78% anziani, con una maggiore presenza di persone di sesso femminile, che dichiarano condizioni di sordità e sordomutismo in misura maggiore (52,4% contro 47,6% sul totale (tab. 2).
Anche in questo caso l’età si configura come un fattore di rischio rilevante ma, più in generale, tra gli altri fattori di rischio di tutti i problemi dell’udito, hanno un forte peso anche quelli ambientali, legati all’esposizione ai rumori in ambiente di vita e di lavoro.
Inoltre, considerando i dati relativi ai casi accertati di malattie professionali legate all'udito, emerge che, nonostante la riduzione nel corso degli anni, la quota di casi di questo tipo sul totale delle malattie professionali continua a essere la terza in ordine di importanza, rappresentando nel 2017 l’8,6% del totale (tab. 3).
Un altro aspetto che ancora attiene alla complessità di questo tipo di disturbi ha a che vedere con il legame tra problemi di udito e deficit cognitivi. Sono ormai molti gli studi che hanno indagato sui cambiamenti che intervengono nel cervello a seguito della ridotta stimolazione sensoriale nei pazienti con un calo dell’udito e che mettono in luce l’importanza della conservazione delle funzioni uditive fisiologiche e della tempestiva riabilitazione acustica, per i suoi effetti sulla prevenzione del deterioramento cognitivo e anche di molte forme di demenza.
Il legame fra udito e cervello è molto stretto e bidirezionale: da un lato lo stimolo uditivo è importante perché attiva la corteccia cerebrale a tutto campo, dall’altro i processi cognitivi influenzano il “come” si sente.
Sono diverse le ipotesi sui meccanismi attraverso cui si sostanzia il legame fra perdita uditiva e alterazioni cerebrali: l’ipoacusia aumenta l’impegno necessario all’ascolto degradando il messaggio e comporta un carico cognitivo durante l’elaborazione dei dati che “affatica” il cervello e riduce le risorse di attenzione e cognitive disponibili per altri compiti. È presente anche il riferimento a meccanismi eziopatologici condivisi come l’invecchiamento e la malattia microvascolare e nei fatti la correlazione fra demenza e perdita dell’udito risulta in molti studi: una volta tenuto conto di fattori confondenti come età, sesso e stile di vita, la presenza di un calo dell’udito legato all’età è risultata incrementare di oltre 3 volte la probabilità di demenza.
Il trattamento dei deficit acustici attraverso soluzioni uditive appare dunque efficace per ritardare la comparsa di disturbi cognitivi mantenendo una buona funzionalità cerebrale e ha un enorme valore preventivo per forme patologiche fortemente connesse all’invecchiamento e dal costo scoiale particolarmente elevato.[3]
Nel complesso quindi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che oggi le persone con ipoacusia siano 466 milioni in tutto il mondo e che nel 2050 questo numero raddoppierà, raggiungendo circa 900 milioni di persone nel mondo. Soltanto in Europa, il numero di persone con perdita uditiva autodiagnosticata è oggi di 70 milioni e aumenterà a 104 milioni entro il 2050.
Ipotizzando per l’Italia un andamento simile a quello previsto per l’Europa, ma a partire da una percentuale di ipoacusici più elevata che ingloba il più significativo tasso di invecchiamento della popolazione italiana, si può prevedere per il 2025 un numero di persone con calo uditivo autodiagnosticato pari a poco più di 8 milioni e per il 2050 compreso tra i 10 e gli 11 milioni di persone.
[1] Argomenti di Acta Otorhinolarynologica Italica vol.1, n° 1 maggio 2007
[2] Stime AIRS (Associazione Italiana Ricerca Sordità) citate in Assobiomedica “La posizione associativa in tema di riforma del d.m. 332/99 e dei livelli essenziali di assistenza (LEA) sordità, apparecchi acustici e modalità di acquisizione da parte del SSN.”
[3 Self-Reported Hearing Loss, Hearing Aids, and Cognitive Decline in Elderly Adults: A 25-Year Study Amieva H1, Ouvrard C1, Giulioli C1, Meillon C1, Rullier L1, Dartigues JF1., 2015