Roma, 3 dicembre 2021 – Divari e disuguaglianze che la scuola non riesce a contrastare. L’ultima rilevazione Invalsi ha evidenziato un peggioramento delle performance degli studenti italiani rispetto al 2019, ma sarebbe ingeneroso individuare la sola causa nella didattica a distanza. Il 75,6% degli oltre 1.700 dirigenti scolastici consultati dal Censis è molto (29,6%) o abbastanza (46,0%) d’accordo sul fatto che la Dad, anche nella forma mista della Didattica digitale integrata, abbia solo accentuato le difficoltà della scuola nel contrastare gli effetti negativi di bassi status socio-economici e culturali dello studente. È molto diffusa l’opinione che il peggioramento delle performance sia conseguente a un uso della Dad basato sulla mera trasposizione online della tradizionale lezione frontale, senza una reale innovazione didattica (il 65,4% è molto o abbastanza d’accordo), mentre il 62,0% lamenta un più generale deterioramento delle competenze, solo acuito dalla necessità di fare ricorso alla Dad. Una percentuale di presidi analoga (65,3%) rimarca che con la Dad non si è riusciti a instaurare una valida relazione educativa, mentre il 59,5% imputa una responsabilità non all’uso della Dad in sé, ma al suo utilizzo in un periodo come quello pandemico, con tutto il suo portato di disagio per studenti e docenti.
Atteggiamenti e prospettive per il futuro dei giovani studenti al tempo della pandemia. Dal punto di vista psicologico, il prolungato periodo di pandemia ha provocato effetti collaterali non indifferenti. L’81,0% dei 572 dirigenti scolastici di scuola secondaria di secondo grado intervistati dal Censis segnala che tra gli studenti sono sempre più diffuse forme di depressione e disagio esistenziale. Il contraltare di questo scenario è l’affermazione dell’esigenza di relazionalità e di prossimità correlata alla rivalutazione dell’andare a scuola (89,6%). Il 76,8% dei dirigenti sottolinea che gli studenti vivono in una fase di sospensione, senza disporre di prospettive chiare per i loro progetti di vita. Per il 79,1% nella società è diffusa una immagine dei giovani troppo negativa, che non corrisponde alla realtà. Più che apatici, indifferenti a qualunque sollecitazione (opinione del 46,3% dei dirigenti), essi sono sottoposti a continui stimoli e informazioni, di cui non riescono a operare una selezione (78,3%). Dopo quasi due anni di pandemia, le certezze rispetto al proprio futuro hanno subito un duro colpo e per il 46,6% dei dirigenti scolastici l’atteggiamento prevalente tra i propri studenti è il disorientamento.
Its: verso un sistema nazionale unitario e flessibile. A più di dieci anni dall’istituzione, l’Istruzione tecnica superiore (Its) oggi è un segmento strategico della formazione terziaria in Italia, complementare all’offerta universitaria. Tra il 2013 e il 2019 i corsi sono aumentati da 63 a 201 (+219,0%) e i diplomati da 1.098 a 3.761. Nonostante il ritmo serrato di crescita, i numeri sono lontani da quelli dei laureati con titolo triennale, che superano le 190.000 unità. L’offerta dei corsi è concentrata in tre regioni ad alta intensità imprenditoriale: Lombardia (19,3%), Veneto (14,6%) ed Emilia Romagna (10,4%). Confortante il livello occupazionale: in media l’80,6% dei diplomati risulta occupato a un anno di distanza dal conseguimento del titolo.
Le lauree Stem tra divario di genere e divario territoriale. Nell’anno accademico 2020-2021, a fronte di poco meno di 1,8 milioni di studenti universitari iscritti, solo il 27,1% frequenta un corso di studi Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Le donne, pur rappresentando la maggioranza degli studenti, con una quota pari al 56,3%, sono ancora minoritarie nei corsi Stem, essendo solo il 37,1% degli oltre 480.000 iscritti. I corsi di laurea Stem rappresentano il 34,6% del totale, mentre superano la soglia del 40% delle rispettive offerte regionali in Basilicata (47,4%), Calabria (43,0%), Liguria (41,7%) e Friuli Venezia Giulia (41,4%). Le regioni nelle quali si concentra la maggior parte dell’offerta sono la Lombardia (14,6%), il Lazio (14,1%) e l’Emilia Romagna (9,2%).
Accrescere la cultura scientifica per sostenere lo sviluppo del Paese. Se in media il 33% degli europei afferma di nutrire molto interesse per la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico, la percentuale degli italiani si ferma al 13%. La quota della popolazione italiana che non manifesta alcuna attenzione per la scienza e la tecnologia è pari al 31%, a fronte di una media europea più contenuta, che si ferma al 18%. Il 46% degli europei concorda con l’affermazione «la scienza è così complicata che non ne capisco molto», ma il dato in Italia sale al 58%.
3 Dicembre 2021