I risultati del 1° Rapporto Censis-Eudaimon evidenziano il contesto reale in cui deve inserirsi il welfare aziendale, al di là di semplificazioni o annunci puramente mediatici, garantendosi consenso, efficacia e sostenibilità. E allora di certo lo sviluppo del welfare aziendale richiede:
- una intensificazione dei flussi informativi, rivolti in particolare ai lavoratori che meno ne hanno conoscenza, anche perché dalla presente ricerca emerge che più è alta la conoscenza, più il welfare aziendale è valutato positivamente. Più lo conosci, più lo apprezzi: questa è la logica che vince tra i lavoratori;
- un’attenzione specifica verso i lavoratori a redditi più bassi e dalle mansioni operative ed esecutive, che oggi meno conoscono e meno apprezzano il welfare aziendale, anche perché più toccati e quindi più concentrati sulle proprie carenze retributive. Va evitato il rischio di un welfare aziendale conosciuto e apprezzato in prevalenza da dirigenti e lavoratori dalle alte retribuzioni, promuovendolo come uno strumento di tutela di tutti i lavoratori, a cominciare da quelli che più ne hanno bisogno;
- il superamento del rischio di rispecchiare tali e quali le differenze retributive tra lavoratori, trovando il modo di operare come un meccanismo di contenimento o riduzione delle disuguaglianze e, più ancora, di risposta efficace ai bisogni reali di tutela e di servizi dei lavoratori. Il welfare aziendale non potrà e non dovrà conservare troppo a lungo il volto del “welfare fiscale” emerso dalle Leggi di Bilancio, altrimenti rischia di perdere la sua anima di pilastro del welfare propriamente detto, la cui mission è fatta di tutela per le persone che più hanno bisogno e sono in maggiore difficoltà, e contenimento degli esiti delle disuguaglianze retributive generate dalla dinamica del mercato del lavoro. Un welfare fiscale premiale nel lungo periodo depotenzia la capacità di ridurre le disuguaglianze e di dare supporto diretto e indiretto a chi ha bisogno;
- la capacità di mettere in campo una offerta ampia e articolata di servizi e prestazioni di welfare in linea con l’articolazione molecolare di bisogni e aspettative, facilitando la personalizzazione in relazione ai bisogni reali dei lavoratori. Garantire ai lavoratori supporto nelle difficoltà è il meccanismo che conduce a percepire l’azienda come una comunità di interessi e non il semplice luogo di lavoro o addirittura un contesto conflittuale;
- è necessario l’incentivo a processi di riaggregazione tra aziende, sul territorio e/o attraverso nuovi strumenti di community. Andare oltre la dimensione della singola azienda, tanto più in un tessuto produttivo ancora molto frammentato, è un presupposto per dare a tutti i lavoratori una copertura aggiuntiva, che parte dall’occupazione ma si sviluppa sul territorio, intrecciandosi magari con i servizi del territorio stesso. (welfare aziendale come welfare di tutti i lavoratori che sono in una comunità o che formano una comunità di cura e protezione proprio grazie all’interazione tra aziende diverse);
- lo stimolo ad una selezione virtuosa tra gli operatori del welfare aziendale a beneficio di quelli in grado di favorire la personalizzazione dell’accesso ai benefici, di promuovere riaggregazioni territoriali o interaziendali, di orientare la domanda verso pacchetti di servizi di welfare propriamente detto rispetto a benefit che sono consumi immediati, e di esercitare forme di verifica e accreditamento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate;
- il pieno riconoscimento per le aziende che promuovere il welfare aziendale è un indicatore di grande modernità nella gestione delle imprese, perché orienta verso rapporti più cooperativi che conflittuali, e perché può contribuire a costruire una comunità aziendale in cui le performance e gli obiettivi siano il presupposto per il benessere di tutti i componenti e non un moltiplicatore di disparità. Ecco perché nel medio periodo, a partire dalla fiscalità e dalle pratiche aziendali, è indispensabile riportare il welfare aziendale alla sua vera anima, eliminando i meccanismi che oggi al suo interno riflettono le disuguaglianze nell’accesso alle prestazioni, ed evitando di attribuire al welfare aziendale un compito a cui può dare un contributo indiretto, ma che non può certo essere la sua missione primaria, e cioè sanare le profonde disparità retributive e le retribuzioni troppo basse di tanti lavoratori che invece dipendono fondamentalmente dalle politiche retributive dentro e fuori le aziende.