La crisi retributiva del lavoro che più colpisce operai e intermedi
Le opinioni e i comportamenti di un campione di lavoratori dipendenti sugli aspetti del lavoro in azienda hanno consentito di delineare uno spaccato unico di aspetti decisivi del lavoro e del rapporto con l’azienda.
Il 62,8% dei dipendenti italiani ha un giudizio positivo del proprio lavoro, dato che trova conferma trasversale rispetto a età, territori, sesso e, in misura minore, titolo di studio. Ci sono alcuni aspetti specifici con più alte quote di soddisfatti: le mansioni svolte (79,2%), l’orario (70%) e la conformità ai titoli di studio (62,3%).
Altre dimensioni come retribuzioni (47,4%), disponibilità di premi monetari (28,5%), gratificazioni non economiche (39,5%) e possibilità di fare carriera (26,8%) ottengono invece valutazioni positive più basse. Differenze di valutazioni sui vari aspetti emergono per età e ruolo svolto in azienda:
- tra i giovani occupati, spiccano le valutazioni meno positive sull’orario (il 63,4% contro il 72% dei lavoratori 35-64enni) e sul bilanciamento tra vita familiare e lavoro (il 54,9% ne dà un giudizio positivo ma è il 64,5% tra i 35-64enni). I giovani sono molto più sensibili alle difficoltà del rapporto tra lavoro e vita privata;
- per ruolo svolto emergono differenze di valutazione importanti, ma quasi fisiologiche per le mansioni svolte (la quota dei dirigenti con valutazione positiva è l’85,7%, gli impiegati sono al 79,3%, gli operai al 75%), la conformità del lavoro ai titoli di studio conseguiti (il 77,1% tra i dirigenti, il 66,4% tra gli impiegati, il 34,4% tra gli operai) e l’autonomia (il 54,3% tra i dirigenti, il 48% tra gli impiegati, il 40,6% tra gli operai). Forte è il divario di soddisfazione per le retribuzioni (il 68,6% dà un giudizio positivo tra i dirigenti, il 44,4% tra gli impiegati, il 50% tra gli operai), le opportunità di premi monetari per merito (i dirigenti al 42,9%, gli impiegati al 25%, gli operai al 37,5%), le possibilità di carriera (il 40% tra i dirigenti, il 25,3% tra gli impiegati, il 26,6% tra gli operai), per le gratificazioni non economiche (i dirigenti al 57,1%, gli impiegati al 38,8%, gli operai al 32,8%), l’orario (i dirigenti al 68,6%, gli impiegati al 74%, gli operai al 51,6%), mentre più equilibrio si riscontra per il bilanciamento tra vita familiare e tempo di lavoro (il 60% tra i dirigenti, il 62,8% tra gli impiegati, il 59,4% tra gli operai) (tab. 4).
In estrema sintesi, l’insoddisfazione verso alcuni aspetti del lavoro, in particolare quelli retributivi in senso ampio, sono fortemente correlati con il ruolo svolto in azienda dagli occupati, con un gap ampio tra apicali, da un lato, impiegati e operai dall’altro. Da non sottovalutare che gli impiegati sono portatori di una insoddisfazione spesso maggiore di quella degli operai.
Più paura dei robot che degli stranieri per il proprio posto di lavoro
Un prisma di spinte e controspinte mal raccontato dalle retoriche prevalenti nell’arena pubblica: questo il profilo del lavoro che cambia nelle aziende visto e vissuto da chi lavora. Le cose che non vanno sono chiare: negli ultimi anni per gli occupati si lavora di più, con orari più lunghi e/o più mansioni (50,6%) e le retribuzioni non sono adeguate al lavoro (lo pensa il 50,4% dei lavoratori).
Come minaccia al proprio posto di lavoro, mettono più paura i robot degli stranieri: il 22,1% dei lavoratori ritiene che le nuove tecnologie siano un pericolo per il proprio lavoro che potrebbe essere sostituito o cancellato, il 19,6% teme che gli immigrati possano rubare il lavoro, magari lavorando a salari più bassi. Più positivo il giudizio sull’attenzione delle aziende alle esigenze personali e familiari dei dipendenti (52,4%) e per le opportunità di formazione e aggiornamento (61,8%).
Sono però decisive le differenze per ruolo svolto, poiché, alla trasversale condivisione tra dirigenti, impiegati e operai della convinzione che negli ultimi anni si lavora molto di più rispetto al passato anche recente, fa da riscontro una disparità alta di vedute sulle paure, visto che i lavoratori stranieri sono indicati come una minaccia diretta al proprio posto di lavoro dal 14,3% dei dirigenti, dal 18,8% degli impiegati e dal 26,6% degli operai, mentre i robot fanno ancora più paura come minaccia diretta al loro posto di lavoro al 14,3% dei dirigenti, al 19,7% degli impiegati e al 37,5% degli operai (tab.5).
Operai e impiegati sono poi molto meno soddisfatti delle opportunità di formazione e aggiornamento. Forte è il sostegno all’idea che, se si mandassero in pensione i lavoratori più anziani, si creerebbero posti di lavoro per i giovani (71,5%): ne sono più convinti gli operai (76,6%) degli apicali (65,7%).
La lotta di classe? Più per i dirigenti che per gli operai o gli impiegati
Spiccano i dati sulle concezione delle relazioni tra imprenditori, manager e operai in azienda, con una certa convergenza di opinioni per ruolo svolto, sul fatto che imprenditori, manager e lavoratori in azienda hanno uno stesso interesse e non c’è conflitto: lo pensa il 37,1% dei dirigenti, il 36,5% degli impiegati e il 39,1% degli operai.
Però per ciascun ruolo svolto prevale la quota di rispondenti che vedono l’azienda come un luogo di conflitto piuttosto che di convergenza, ma tale quota è più alta tra i dirigenti e quadri direttivi (54,3%) rispetto agli operai (48,4%): come se la lotta di classe nelle relazioni aziendali fosse una convinzione e forse anche una nostalgia più degli apicali che degli esecutivi. Al di là dei paradossi, la vera grande novità è che, malgrado disuguaglianze eclatanti nei tanti aspetti del lavoro a seconda del ruolo svolto, è forte l’idea dell’azienda come comunità di interessi.
Le cose che non vanno
L’intensificazione percepita del lavoro è espressione di modalità di lavoro penalizzanti e genera anche ricadute patologiche sul piano sociale e anche sanitario. È emerso che:
- per quanto riguarda l’organizzazione e l’esercizio del lavoro, 2,1 milioni di dipendenti fanno i turni di notte (il 5,7% dei dirigenti, l’8,2% degli impiegati ed il 21,9% degli operai), 4 milioni lavorano la domenica e nei festivi (il 17,1% dei dirigenti, il 16,8% degli impiegati e il 34,4% degli operai), 4,8 milioni lavorano oltre l’orario di lavoro senza straordinario pagato (il 28,6% dei dirigenti, il 22,7% degli impiegati, il 21,9% degli operai), 4,1 milioni lavorano da casa con e-mail e altri strumenti digitali oltre l’orario di lavoro (il 17,1% dei dirigenti, il 20,1% degli impiegati, il 20,3% degli operai);
- da segnalare stress, conflitti in famiglia, meno tempo per se stessi, se 5,3 milioni di lavoratori hanno regolarmente sintomi di stress (il 22,9% dei dirigenti, il 24,3% degli impiegati, il 32,8% degli operai); 2,4 milioni hanno regolarmente conflitti e contrasti in famiglia perché lavorano troppo (l’8,6% dei dirigenti, il 10,5% degli impiegati, il 17,2% degli operai), 4,5 milioni regolarmente non hanno tempo per se stessi (il 17,1% dei dirigenti, il 21,4% degli impiegati, il 26,6% degli operai), 3,6 milioni hanno difficoltà a conciliare attività familiare e lavoro (il 20% dei dirigenti, il 15,5% degli impiegati, il 25% degli operai). Ci sono differenze evidenti a seconda del ruolo svolto anche rispetto agli effetti sulla salute, con operai e impiegati che in quote percentuali maggiori dichiarano di avere i problemi prima citati (tab. 6).
Oltre alle differenze retributive, quindi, spiccano quelle sulle penosità che amplificano le disuguaglianze in azienda e sono un campo di azione importante per il welfare aziendale, che può fare molto per alleviare i costi sociali e sanitari del lavoro, in particolare di operai e impiegati.