Quali sono gli esiti, le indicazioni che il racconto del rapporto degli italiani con il lavoro mette in luce per il welfare aziendale e il suo futuro? Emergono sia conferme di intuizioni emerse già nel primo Rapporto Censis-Eudaimon che novità rilevanti, ineludibili:
- esiste un problema di retribuzioni basse e ferme, tanto più grave quanto più si scende nella piramide gerarchica delle aziende. Il welfare aziendale non può essere la soluzione unica alla fame arretrata di reddito, ma può certamente dare un contributo importante a tanti lavoratori in difficoltà;
- e il welfare aziendale può giocare un ruolo importante nell’ammortizzare le disparità di opportunità e di crescita che pure penalizzano esecutivi e impiegati, contribuendo a creare possibilità concrete di miglioramento delle proprie condizioni, dimensione essenziale per generare engagement;
- le disparità crescenti rendono quasi inevitabile la persistente prevalenza della visione conflittuale dei rapporti in azienda e tuttavia ci sono due grandi novità: la prima è che è alta la quota di dipendenti che ha una concezione di convergenza degli interessi tra imprenditori, manager, impiegati e operai, la seconda è che la visione dell’azienda come teatro della lotta di classe è più forte nei dirigenti che negli operai. Così i dirigenti sono più nostalgici della lotta di classe dei tradizionali protagonisti, gli operai. Il dato è che l’idea di comunità di interessi in azienda, se coltivata anche tramite il welfare aziendale, oggi può conquistare i lavoratori molto più che in passato;
- sono state smentite molte delle retoriche su lavoro e clima aziendale, con ad esempio i giovani che hanno rispetto al loro lavoro tassi di soddisfazione omologhi a quelli dei baby boomers. Si differenziano da questi ultimi per una più alta attenzione ai temi dell’orario e, in generale, alla compatibilità tra i tempi di vita e i tempi di lavoro. Quindi, oltre ai temi cardine di salute e previdenza, l’idea di un tempo di lavoro che come un blob occupa ogni spazio di vita li preoccupa e non gli piace. Ecco una indicazione essenziale per l’agenda del nuovo welfare aziendale, chiamato ad ampliare anche per i giovani single o in coppia gli strumenti di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, che non sono di interesse esclusivo di chi ha figli;
- è comunque condivisa la convinzione che oggi si lavora molto di più del passato anche recente, che gli orari si sono allungati, che in sostanza con la crisi e la competizione crescente si è pagato un costo anche in termini di intensificazione dell’impegno lavorativo. Per ora, chi ha una bassa retribuzione ha priorità diverse da quelle sull’orario e, tuttavia, l’orario meno invasivo è una rivendicazione che aleggia e che presumibilmente sarà destinata a conquistare spazio. Il welfare aziendale deve misurarsi con gli strumenti dello smart working e derivati, in una concezione più estesa di benessere in cui il welfare aziendale è molto più che una risposta a bisogni sociali basic, dalla salute alla vecchiaia: è una piattaforma di promozione quasi preventiva del benessere;
- e, infatti, i dati sugli effetti sanitari e sociali del troppo lavoro e/o del lavoro più intenso sono impressionanti e segnalano che il bisogno di welfare aziendale rinvia anche ad una profonda esigenza di riduzione dei costi sociali del lavoro che finiscono poi per scaricarsi sulla collettività, tramite ad esempio la sovrasollecitazione del Servizio Sanitario a erogare accertamenti e cure ai lavoratori colpiti. Lo stress nelle sue molteplici modalità di espressione patologica, i conflitti familiari per le troppe assenze o per il troppo nervosismo o l’ansia eccessiva, sono solo alcuni degli esempi dei costi sociali legati alla intensificazione percepita del lavoro svolto. Su questo una matrice più ampia di servizi, interventi e prestazioni di welfare in azienda potrebbe a sua volta dare un contributo importante.
L’evoluzione complessa, contraddittoria del lavoro e delle relazioni in azienda, pur nella diversità profonda legata alla dimensione delle aziende, racconta di spazi significativi di azione per il welfare aziendale come contributo al concreto miglioramento della qualità della vita dei lavoratori e a migliori relazioni in azienda.
È così che il cerchio si potrebbe chiudere virtuosamente: il welfare aziendale diventa un pilastro di una comunità aziendale concretamente in mutazione, motore di costruzione di benessere per i lavoratori, a cominciare da quelli più esposti e vulnerabili, stimolando così una loro più alta, consapevole e, anche, condivisa adesione a obiettivi e progetto aziendale.