1. Tra attesa e ripartenza poco pensiero in perpendicolare. La temperie d’incertezze, speranze, contraddizioni che attraversa il Paese amplifica l’attesa di vedere se la società e l’economia riusciranno a lasciarsi alle spalle due anni di emergenza, ritrovando spazi e tempi dello sviluppo. Difficile fare sintesi interpretativa di due tensioni verso schemi opposti dello sviluppo: da un lato, la forza che traduce l’attesa in preparazione di un nuovo inizio; dall’altro, il rifuggire dalla consapevolezza che la realtà è altra cosa della sua rappresentazione, che la normalità di un sistema è la sua capacità di guardare oltre se stesso per dare significato al suo interno, in una visione, perpendicolare al piano d’azione.
2. Una ripresa più per progetto che per evoluzione. Siamo di fronte a una società che potrà riprendersi più per progetto che per spontanea evoluzione, l’adattamento continuato non regge più, il nostro complessivo sistema istituzionale deve ripensare se stesso e presentare un razionale programma di sviluppo. La società italiana è mutata e ha attraversato crisi ed emergenze con il continuo intrecciarsi di realtà emerse e sommerse, quotidiane e di lungo periodo, particolari e generali. Oggi questo non basta più. Senza una coscienza collettiva, coscienza di coscienze, capace di guardare dall’alto e lontano quel che la società chiede o attua, senza un’unitarietà di approccio agli investimenti sociali, senza immaginare una politica di sviluppo, il Paese rimane prigioniero delle sue fragilità.
3. La ricerca con pochi esiti di una reazione verticale. La rimessa in asse di una progressiva razionalità richiede una forte coesione nazionale per affrontare in modo non ideologico le nuove e antiche povertà e disuguaglianze, per non restringere solo per paura o per principio l’accesso ai nuovi arrivati, per chiudere iniziative e interventi che hanno mancato il bersaglio e che inutilmente affollano il bilancio dello Stato. Tensione e consapevolezza di nuove forme di coesione che sono ancora più nelle intenzioni che nei fatti e che non trovano, allo stato delle cose, soggetti e procedure in grado di promuoverle e arricchirle.
4. Uno strappo in avanti con il timore di ricadere. La ripresa dello sviluppo è la prima strutturale richiesta, forse ambizione, che la società esprime in termini di progetto unitario. Basti guardare l’enfasi posta in questi mesi sul superamento delle più favorevoli ipotesi di crescita del Prodotto interno lordo, la sopravalutazione del ciclo breve di rimbalzo dei consumi interni, la fiducia posta nella capacità dei soggetti e dei fondi pubblici di annientare gli effetti della crisi. Tutti segnali che indicano un’aspirazione collettiva e condivisa di risalita, se non di ricostruzione.
5. La tempestività è un valore reale, con idee e parole nuove. La pandemia, rimescolando le carte da gioco, ha costretto il Paese a porsi di fronte alle opportunità dell’accelerazione (anche solo auspicata) negli investimenti pubblici e privati che la ricostruzione impone e al farlo in questo preciso appuntamento di circostanze. Per cogliere il momento favorevole serve però una visione unitaria, un’ingegneria delle idee che prepara il disegno, servono parole nuove per ampliarne la partecipazione e, prima e di più, serve la consapevolezza che in un cantiere senza progetto invano si affannano i costruttori.
6. Dopo la crisi, il governo della transizione. Alla parola “crisi” preferiamo la parola “transizione”, proprio a significare che il momento più grave è oramai alle spalle. Intorno a ciascun progetto di transizione (energetica, digitale, demografica, verde, occupazionale) si accumulano e si affermano tanti sprazzi di vitalità, tanta voglia di partecipazione, tante energie positive.
La transizione verde ossia la necessità di ridurre l’impronta ecologica delle attività umane, per salvaguardare l’ambiente delle generazioni future è un processo sociale, economico, tecnologico, politico che assume le sembianze di un tempo forte quanto le rivoluzioni industriali o la globalizzazione, ma proprio perché è tale, richiede capacità d’indirizzo e di disegno complessivo, ben oltre quella messa in campo fin qui in Italia e in Europa.
La transizione digitale è il simbolo della sfida tecnologica e dell’innovazione delle grandi società globali che oggi prova a integrare obiettivi di contrasto ai cambiamenti climatici e obiettivi d’inclusione dei più fragili nella modernità delle società avanzate.
La transizione demografica, verso una società meno numerosa e più anziana, è una vera crisi da affrontare con strumenti e approcci di un’emergenza. La chiamata d’attenzione alle variabili demografiche, e al fatto che nessun Paese avanzato è in ritardo quanto il nostro, ha il pregio di rimettere al centro dell’iniziativa politica il lavoro giovanile, il ruolo delle donne, il potenziamento dei servizi di assistenza e di protezione sociale.
La transizione del lavoro, il riposizionamento delle competenze in uno scenario produttivo e dei servizi radicalmente mutato, sfugge ancora oggi alla sensibilità dell’opinione corrente. Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, la dispersione di opportunità per mancanza o inadeguatezza delle competenze necessarie in questa nuova fase di ripartenza non è certo un tema nuovo, ma è oggi al centro di un bisogno collettivo di affrontare le cose in modo strutturato.
7. Dopo rapide rassicurazioni, un percorso lungo e di duro confronto. La questione di fondo che emerge dalla richiamata urgenza, e domanda sociale, di uno sviluppo più per progetto che per continuato adattamento è quanta consapevolezza ci sia del percorso da compiere, dei sacrifici da sopportare, delle difficoltà da superare. Nelle drammatiche vicende della pandemia ha prevalso la funzione rassicurante della promessa di rapide soluzioni.
8. La fatica della ricostruzione chiede coscienza delle leve di ripresa. La ripresa, il prendere di nuovo in mano dopo l’attesa, l’andare oltre i limiti del passato, impone una certa giusta conoscenza di sé e della realtà. L’emergenza sanitaria e le sue conseguenze, l’attenzione totale alle variazioni del clima, lo sviluppo dirompente della tecnologia, l’indebitamento pubblico inarrestabile, il gap digitale sono esempi di come la società italiana in questi mesi e anni sia messa alla prova, chiamata a una fatica e a un lavoro di autocoscienza, individuale e collettiva.
9. Tre assi di progressione riducono coscienza di sé e qualità dello sviluppo. Senza coscienza di sé non c’è qualità dello sviluppo. La consapevolezza di una società, semplificando, si misura nella progressione verso obiettivi e traguardi unitari e partecipati, nel progettare schemi e regole di funzionamento delle istituzioni senza vie di fuga o scorciatoie, nel sopportare trasformazioni strutturali in grado di colmare distanze di qualità, se non di conquistare il futuro. Tre linee di progressione rispetto alle quali pochi passi in avanti sembrano essere stati fatti.
10. Rivivere i luoghi in cui la coscienza si forma. Riprendere lo sviluppo è anche riprogettare e ricostruire, anche fisicamente, i luoghi che ospitano il pensare e non solo le strutture espressamente deputate a questo scopo, ma anche i soggetti che per anni hanno svolto funzioni di mediazione: dai sindacati alle associazioni di categoria, dagli albi e casse professionali all’associazionismo, fino ai partiti politici.
11. Nell’afasia del dibattito politico riconnettere società e istituzioni. La divaricazione tra politico e sociale è un processo di lunga durata, tanto da aver consumato la curiosità – definitivamente, verrebbe da dire – di domandarsi se e come porre mano a una ricomposizione. Parlare con parole nuove e affrontare con serietà i problemi e le fragilità del nostro tessuto sociale è, forse, quel che serve nella dialettica socio-politica. Nell’orizzonte della ripresa si nota un’inquietudine politica, timida e incerta, quanto vitale. Ben vengano paura e incertezza del futuro se aiuteranno nuovi modi di pensare e costruire società e istituzioni, di riconnettere tra loro tecnica e politica, vita sociale e attività statale. Solo che il sistema politico non si annidi in un acquietamento di pensiero, maschera di ogni poco curata transizione.