Roma, 1 dicembre 2017 – I migranti come antidoto allo spopolamento. In 755 comuni del nostro Paese, pari al 9,5% del totale, la popolazione nell’ultimo quinquennio è cresciuta unicamente grazie agli immigrati. Si tratta di comuni in cui risiedono 11.166.628 abitanti, ovvero il 18,4% della popolazione. L’incremento del 32% degli abitanti stranieri in queste località ha compensato la riduzione degli italiani (-0,9%), permettendo a questi centri di godere di un movimento anagrafico positivo dell’1,4%. Il contributo demografico positivo derivante dalla stabilizzazione dei migranti è particolarmente evidente in quelle aree che sono maggiormente a rischio di spopolamento, ovvero i comuni periferici, che distano tra i 40 e i 70 minuti dai poli urbani maggiori, dove risiedono 3.596.687 abitanti (il 5,9% della popolazione italiana), e i comuni ultraperiferici, che distano oltre 70 minuti dalle aree urbane, dove vivono 915.758 individui, pari all’1,5% della popolazione. Si tratta di 1.848 piccoli centri urbani che, anche a causa della distanza dai poli di offerta di servizi essenziali nell’ambito dell’istruzione, della salute e della mobilità, subiscono un graduale processo di marginalizzazione, che induce a un inevitabile declino demografico. Nei 1.500 comuni periferici la popolazione nell’ultimo quinquennio si è ridotta dell’1,7%, perdendo 60.710 residenti, nonostante la presenza di 33.854 stranieri in più (+23%). Senza di loro la decrescita avrebbe assunto proporzioni ben più imponenti. L’effetto straniero ha invece contribuito a mantenere in vita i 348 comuni più isolati, ultraperiferici, in cui negli ultimi cinque anni c’è stata una crescita del 43,8% della popolazione straniera (+13.088 residenti) che ha compensato la diminuzione di 9.779 italiani, portando a un saldo positivo di 3.309 unità (+0,4%).
Come cambia la criminalità. Nel 2016 i reati denunciati in Italia sono stati 2.487.389, l’8,2% in meno rispetto al 2008. In cima alla graduatoria per numero di reati denunciati si trovano Milano, con 237.365 reati (ma in diminuzione del 15,5% rispetto al 2008), Roma, con 228.856 (in diminuzione del 3,3% nel periodo considerato), Torino (136.384, -11,7%) e Napoli (136.043, -4%). Se si considera il «peso» della criminalità sul territorio, cioè l’incidenza dei reati sulla popolazione, al primo posto rimane Milano, con 7,4 reati ogni 100 abitanti, seguita da Rimini (7,2), Bologna (6,6) e Torino (6,0). Nel breve periodo diminuiscono omicidi, rapine e furti, ma crescono i borseggi, i furti in abitazione, le truffe tradizionali e su internet. Nel 2016 sono stati denunciati 162.154 borseggi, con un’incidenza media nazionale di 2,7 borseggi ogni 1.000 abitanti e un aumento del 31% dal 2008. Dal 2008 al 2016 le truffe sono cresciute del 45,4% (151.464 nell’ultimo anno).
La patrimonializzazione, ultimo passaggio sulla via dell’integrazione. Nel 2015 gli stranieri extracomunitari proprietari di immobili erano 220.279, corrispondenti al 6,3% del totale degli stranieri extracomunitari residenti in Italia, per un totale di 228.524 abitazioni possedute. Questo significa che appartiene a stranieri extracomunitari lo 0,4% del totale del patrimonio ad uso abitativo del Paese, e che lo 0,7% dei 31.796.538 proprietari è extracomunitario. Circa il 20% dei possessori di casa si trova a Milano (41.608 proprietari). Ma la quota di stranieri che acquistano un immobile è più alta nelle provincie più piccole, come Bergamo, dove l’11,9% dei cittadini non comunitari residenti ha un immobile di proprietà, Vicenza (11,3%), Lodi (11,1%), Ascoli Piceno (10,9%). Al primo posto ci sono gli albanesi, tra cui i proprietari sono 44.268, pari al 20% del totale, seguiti da cinesi e marocchini. L’incidenza dei proprietari sui residenti della stessa nazionalità fa salire al primo posto i peruviani, tra i quali l’11,8% ha un’abitazione di proprietà, seguiti dai moldavi (10,8%) e albanesi (9,9%).
Il bilancio a perdere della relocation. Al 18 settembre 2017 il bilancio della relocation (la ridistribuzione di migranti con evidente bisogno di protezione internazionale tra gli Stati membri dell’Ue) vede 8.598 persone riallocate (7.796 adulti e 802 minori), vale a dire il 21,7% di quelli che sarebbero dovuti partire entro la fine del 2017. A questi occorre aggiungere 1.234 richieste approvate e in attesa di trasferimento, 1.126 richieste inviate a uno Stato membro e in attesa di approvazione, 1.284 richieste istruite ma per cui deve ancora essere individuato uno Stato membro destinatario, 3.500 ulteriori potenziali beneficiari. Anche se tutti questi migranti dovessero essere effettivamente accolti entro il 2017, avremmo una chiusura a fine anno di 15.742 riallocati, il 39,8% di quelli previsti. Oltre alla difficoltà delle procedure e alla manifesta indisponibilità di alcuni Paesi, c’è da segnalare come anche i criteri di eleggibilità fissati dalla Commissione europea non abbiano facilitato il trasferimento dei profughi giunti in Italia. I migranti appartenenti a quelle nazionalità a cui è riconosciuto il diritto alla relocation rappresentano una quota residuale degli sbarcati nel nostro Paese. In Italia arrivano migranti solo da tre dei Paesi eleggibili, cioè Eritrea, Siria e Yemen, da cui nel 2016 sono giunti complessivamente 22.059 migranti, pari al 12,2% degli sbarcati, e nel 2017 7.720 profughi, vale a dire il 7,3% degli sbarcati in Italia tra gennaio e settembre. Questo vuol dire che se anche tutti i profughi giunti dai Paesi eleggibili fossero ricollocati, entro fine anno non si arriverebbe comunque alla quota minima prevista di 39.600 migranti.
La classe operaia non parla più italiano. L’88,5% dei dipendenti stranieri (1.838.639 persone) fa l’operaio, mentre tra gli italiani la quota è del 41%. Solo il 9,9% dei lavoratori stranieri (206.409 occupati) lavora come impiegato, quota che per gli italiani è del 48%. La «segregazione professionale», che costringe gli stranieri in profili prettamente esecutivi, emerge anche dal dato sui quadri stranieri, che sono appena 11.618 e rappresentano lo 0,6% del totale dei lavoratori. La percentuale scende ancora per i dirigenti stranieri, che sono 9.556, contro i 391.585 dirigenti italiani. I rapporti di lavoro avviati nel 2016 mostrano che su 1.881.918 nuove contrattualizzazioni, 520.508 (il 27,7%) riguardano i braccianti agricoli, assunti nella quasi totalità dei casi con contratti stagionali. Seguono l’assistenza alle persone (158.977, pari all’8,4% del totale) e i collaboratori domestici (123.659, il 6,6%).
1 Dicembre 2017