Roma, 3 dicembre 2010 – L’inossidabile fiducia delle famiglie nell’investimento immobiliare. Dopo il lungo ciclo positivo dell’immobiliare, iniziato nella seconda metà degli anni ’90, durante il quale i volumi delle compravendite sono costantemente cresciuti fino ad avvicinarsi alla soglia degli 850.000 scambi all’anno (nel 2006), la fase di ridimensionamento che ne è seguita sembra essersi conclusa, e si registra una inversione di tendenza. La tradizionale fiducia delle famiglie italiane nell’investimento nel mattone torna a manifestarsi, tanto da far prevedere per il 2010, dopo tre anni consecutivi di calo dei volumi, un leggero progresso nelle compravendite, che possono essere stimate in 630.000 unità residenziali a fine anno (+3,4% rispetto al 2009). Secondo un’indagine del Censis, l’investimento in un immobile è considerato dagli italiani il canale preferibile per l’impiego dei risparmi familiari. Il 22,7% degli italiani ritiene che sia questa la forma di utilizzo dei propri risparmi da privilegiare, contro il 21,8% che pensa che i risparmi vadano mantenuti liquidi sul conto corrente e appena l’8,5% che giudica preferibile acquistare azioni e quote di fondi comuni di investimento. C’è comunque un 39,7% di italiani che dichiarano di non avere risparmi da utilizzare.
Leva urbanistica e scambio pubblico-privato: il rischio della deriva immobiliarista. Gran parte dei programmi di intervento presenti nell’agenda delle città italiane si trova a fare i conti con la scarsità dei finanziamenti pubblici. In questa fase di carenza di risorse, le entrate derivanti dagli oneri di urbanizzazione hanno rappresentato una boccata d’ossigeno per i Comuni: una dinamica che ha portato non poche amministrazioni locali a favorire, per fare cassa, una forte produzione edilizia e un notevole consumo di suolo. Anche nel caso delle infrastrutture di mobilità sta prendendo piede un modello diverso dal passato, che vede come moneta di scambio, per recuperare l’investimento effettuato dal privato, non più la gestione dell’infrastruttura, ma la possibilità di realizzare nuove volumetrie su terreni pubblici o in deroga al piano urbanistico.
L’impaludamento dei servizi pubblici di rilevanza economica: il caso dell’acqua. Non c’è pace nel settore dei servizi pubblici di rilevanza economica. Nonostante sia oggetto da alcuni anni di una incessante attività di riforma, gli utenti sono cronicamente insoddisfatti, gli investimenti ristagnano, i processi di modernizzazione restano al palo e non si consolidano sistemi di gestione di tipo autenticamente industriale. L’11,5% degli utenti denuncia irregolarità nell’erogazione dell’acqua (nel 1995 questa percentuale era simile, il 14,7%). In alcune regioni, come la Calabria, si supera il 30% e nel periodo estivo la media nazionale arriva al 42,7%. In più, il 32,2% delle famiglie utenti dichiara di non fidarsi dell’acqua che sgorga dal rubinetto di casa.
I fattori della centralità dell’industria energetica. La valenza sociale di un settore fondamentale della nostra economia produttiva come quello energetico è spesso poco considerata. Ma i benefici che si originano all’interno della filiera della produzione energetica per il sistema-Paese, per le imprese e per i cittadini sono notevoli. Assorbe un’occupazione diretta consistente (circa 118.000 addetti) costituita dal personale dipendente delle compagnie, di elevata qualificazione. Alimenta importanti settori collegati, sia industriali (dall’impiantistica alle costruzioni, dalla siderurgia all’industria elettromeccanica), sia nei servizi (dalla progettazione ai trasporti, dalla ricerca alla formazione), anch’essi di elevata specializzazione. Produce un fatturato annuo rilevante, che supera i 230 miliardi di euro. Determina importanti investimenti sul territorio (dell’ordine di alcuni miliardi di euro l’anno), in parte legati all’esigenza di aderire a una normativa tecnica, ambientale e relativa ai temi della sicurezza in continua evoluzione. Produce un gettito considerevole per lo Stato anche in termini di imposte indirette, quali le accise, che solo per il settore dell’autotrasporto ammontavano nel 2008 a oltre 23 miliardi di euro.
Opportunità imprenditoriali e occupazionali dalla «torsione verde» dell’economia. Il segmento dell’energia rinnovabile, oltre a simboleggiare la natura intrinseca della green economy, ne rappresenta la componente industriale più dimensionata e più promettente in termini di sviluppo potenziale. L’energia prodotta in Italia da fonti rinnovabili si approssima al 20% del totale. La crescita del comparto, alimentata dalle politiche europee e nazionali, è stata decisamente rapida. In soli quattro anni è aumentata del 39%. Quanto alla distribuzione sul territorio, la produzione, come anche la potenza degli impianti, si concentra nelle regioni settentrionali, dove è determinante il contributo della fonte idroelettrica.
3 Dicembre 2010