Roma, 6 dicembre 2019 – Opere pubbliche: quando il vero problema non sono le risorse. Negli ultimi anni il problema dell’inadeguato volume di investimenti pubblici territoriali è diventato sempre più evidente. La spesa pro-capite che si attestava nel 2007 a 836 euro si è più che dimezzata, scendendo nel 2018 ad appena 371 euro, con un calo del 55,6%. Una criticità che non solo colpisce un importante settore dell’economia italiana, caratterizzato da un forte effetto moltiplicatore su altri settori, ma che penalizza i cittadini e le imprese incidendo sulla funzionalità dei contesti territoriali. Il tempo complessivo di attuazione delle opere infrastrutturali è pari in media a 4 anni e 5 mesi, ma tale durata cresce progressivamente al crescere del valore economico dei progetti. Si va da meno di 3 anni per i progetti di importo inferiore a 100.000 euro a 15,7 anni in media per i grandi progetti dal valore di oltre 100 milioni di euro. La fase di progettazione presenta durate medie variabili tra 2 e 6 anni, la fase di aggiudicazione dei lavori oscilla tra 5 e 20 mesi, i tempi medi di esecuzione variano tra 5 mesi e quasi 8 anni.
Le periferie urbane, tra narrazione e realtà. I quartieri delle grandi città italiane, benché sempre marginali nell’agenda delle politiche nazionali, in questi anni sono al centro di narrazioni differenti. L’informazione e il cinema si sono occupati spesso di periferie, di cui vengono raccontati i conflitti, le carenze, le povertà, anche le energie. Ma le periferie sono tante e diverse, da quelle storiche dei grandi piani di edilizia economica e popolare, a quelle delle borgate abusive, fino a quelle più recenti dei nuovi quartieri residenziali. Da una recente indagine del Censis si evince che il quartiere di residenza è considerato un luogo di relazioni sociali attive e positive per poco meno dei due terzi degli abitanti. Guardando però ai grandi Comuni, il dato si ridimensiona drasticamente.
Il complicato decollo dell’interazione digitale tra cittadini e Pubblica Amministrazione. Nonostante in Italia sia in atto ormai da diversi anni un tentativo di digitalizzazione dei servizi per i cittadini, i risultati in termini di interazione digitale tra gli italiani e la Pa sono scoraggianti. Nel 2018 solo il 24% degli italiani dichiarava di aver interagito con l’amministrazione pubblica per via telematica, contro il 92% dei danesi, il 71% dei francesi, il 57% degli spagnoli. Il valore medio nell’Unione europea è del 52%. Peggio di noi solo Bulgaria e Romania. Ma c’è un problema in più: il 33,6% della popolazione italiana dispone di competenze digitali basse o nulle.
Micromobilità: l’evoluzione degli spostamenti urbani di corto raggio. In Italia il 52,2% degli spostamenti sistematici all’interno dei centri urbani con oltre 50.000 abitanti ha una durata inferiore a 15 minuti. L’11,2% degli occupati e il 34,4% degli studenti utilizzano una combinazione di mezzi di trasporto diversi. È in questo doppio ambito (spostamenti urbani brevi o intermodali) che si sta verificando una piccola rivoluzione in relazione a due fattori: l’elettrificazione dei mezzi e la sharing mobility. Sono comparsi sul mercato, e quindi sulle nostre strade, monopattini elettrici, hoverboard, segway, monowheel. Si stanno diffondendo anche le e-bike, cioè le biciclette elettriche a pedalata assistita. Nel solo 2018 ne sono state vendute 173.000, con una crescita del 16,8% rispetto all’anno precedente.
I musei italiani tra capillarità del patrimonio e differenziazione dell’offerta. L’offerta museale e degli istituti similari censita a livello nazionale nel 2017 è pari a 4.889 soggetti: 4.026 rientrano nella categoria musei, gallerie e raccolte (l’82,3%), 293 sono le aree e i parchi archeologici (il 6%) e 570 sono i monumenti o i complessi monumentali (l’11,7%). Il territorio italiano rappresenta un’eccellenza a livello mondiale in termini di offerta culturale. Nel complesso si rilevano 1,6 istituti museali ogni 100 chilometri quadrati. Il patrimonio museale pubblico è gestito prevalentemente dalle amministrazioni comunali: detengono il 67% degli istituti pubblici (2.067). Sono 478 le strutture (pari al 15,5% del totale) il cui soggetto titolare è il Ministero dei beni culturali. Sul fronte dei musei e degli istituti similari privati sono gli enti ecclesiastici a possederne quasi un terzo del totale (il 32,7%, pari a 569 strutture). Le associazioni riconosciute e le fondazioni bancarie sono titolari di un consistente numero di istituti, rispettivamente il 25,6% (446) e il 14,8% (257). Ci sono poi 179 musei di proprietà di privati. Il flusso di visitatori nel 2017 ha sfiorato i 120 milioni di ingressi: una cifra record. Le regioni in cui si è registrato il maggior numero di visitatori sono il Lazio (30,2 milioni di presente complessive), la Toscana (21,7 milioni) e la Campania (12,1 milioni): queste tre regioni da sole assorbono il 53,8% dei visitatori totali.
Il fenomeno dei festival del cinema come vetrina e come nicchia. Oggi si contano nel mondo circa 3.000 festival del cinema, con una crescita del 26% rispetto al 2013. Di fronte al protagonismo assoluto degli Stati Uniti, nel cui territorio si svolge il 41% di tutti i festival censiti, i Paesi con un significativo portafoglio di festival non sono molti: il Regno Unito, il Canada, l’Italia (in 4ª posizione), l’India, la Germania, l’Australia, la Francia e la Spagna. In Italia si tengono ben 155 festival del cinema, con una crescita superiore al 30% negli ultimi quattro anni. Il 5,1% della popolazione italiana ha partecipato almeno una volta nell’anno a festival o rassegna cinematografiche (circa 1,5 milioni di persone). Nel Nord-Est l’interesse sale fino a coinvolgere il 6% della popolazione (con punte del 9,4% in provincia di Trento). Per contro, nelle regioni del Sud si attesta intorno al 4%.
Alla riscoperta dei valori delle aree interne: l’Italia dei cammini. Cresce in Italia il numero di coloro che, per motivazioni diverse, decidono di dedicare una settimana o più a percorrere a piedi (o in misura minore in bicicletta) i tanti cammini storici, religiosi, culturali presenti nella penisola. Nel 2018 sono stati oltre 32.000 i camminatori (tra i quali non pochi stranieri) che hanno richiesto la credenziale per uno degli itinerari italiani principali. La via più nota e frequentata è la Francigena (17.000 credenziali richieste). Buon successo anche per i cammini francescani (Via di Francesco e Di qui passò Francesco, con oltre 7.000 credenziali), seguiti dalla Via degli Dei (3.800) e dal Cammino di San Benedetto (2.106). Si stima che oltre 200.000 pellegrini giungano a Santiago di Compostela in Galizia, di cui circa 27.000 italiani. Il fenomeno coinvolge soprattutto gli over 40 anni: il 19,7% ha tra 41 e 50 anni, il 28,9% ha tra 51 e 60 anni, il 24,1% tra 61 e 70 anni. Il livello di istruzione è elevato: appena il 12% possiede al più la licenza media, mentre diplomati e laureati si equivalgono (44%).
6 Dicembre 2019