Roma, 3 dicembre 2021 – Tracce di nuova sanità. Il 77,0% degli italiani valuta adeguato l’operato del Servizio sanitario da quando è iniziata l’emergenza sanitaria. Accanto al riconoscimento dell’eccezionale sforzo compiuto, stanno maturando le aspettative dei cittadini sulla sanità post-Covid. Il 94,0% della popolazione ritiene indispensabile avere sul territorio strutture sanitarie di prossimità, con medici di medicina generale, specialisti e infermieri cui potersi rivolgere sempre. In caso di bisogno Il 93,2% chiede un incremento stabile dei finanziamenti pubblici. Per il 70,3% è prioritario un più ampio ricorso al digitale e alla telemedicina per effettuare controlli, diagnosi e cure a distanza.
L’autoregolazione responsabile della salute contro le pulsioni antiscientifiche. Il 67,0% degli italiani ha difficoltà a pensare di poter tornare alla vita precedente (il dato arriva addirittura all’82,7% dei giovani). Il rapporto con la salute è uno degli epicentri del cambiamento che il Covid-19 ha innescato nelle nostre vite. Uno degli ambiti in cui ciò è evidente è la gestione autonomia dei piccoli disturbi (mal di schiena, mal di testa, mal di stomaco, ecc.): nell’ultimo anno sono 46 milioni gli italiani che ne hanno sofferto. Come hanno reagito? Il 65,4% (il 77,8% tra i giovani, il 72,8% tra i laureati) ha fatto ricorso almeno una volta a farmaci senza obbligo di ricetta, basandosi nella maggioranza dei casi su esperienze analoghe in cui erano ricorsi al supporto di un medico o di un farmacista. La valorizzazione della responsabilizzazione individuale si lega a una corretta informazione ed educazione sanitaria che nella sanità del futuro dovrà essere accessibile, diffusa e continuativa, secondo le aspettative dell’83,6% dei cittadini. La maturità degli italiani nel rapporto con l’informazione sulla salute emerge anche dalla richiesta di pene severe per chi diffonde deliberatamente false notizie (56,2%) e di introdurre l’obbligo per le piattaforme di rimuovere le fake news (52,2%).
Buona protezione cercasi. La pandemia ha accentuato il senso di vulnerabilità. Il 40,3% degli italiani si sente insicuro pensando alla propria salute e alla futura necessità di dover ricorrere a prestazioni sanitarie. Il 33,9% non si sente sicuro rispetto a un’eventuale condizione di non autosufficienza. Il 27,4% teme la disoccupazione e le relative difficoltà reddituali. Il 27,4% è preoccupato dal tenore di vita che potrà permettersi nella vecchiaia. In prospettiva, la protezione per la maggioranza degli italiani è l’esito di una pluralità di fonti di finanziamento e di soggetti cui rivolgersi. Per il 61,8% dei cittadini lo Stato garantirà un pacchetto definito e ristretto di bisogni essenziali, e i cittadini dovranno pagarsi da soli le prestazioni in più che vorranno. Secondo il 30,7% il welfare statale non coprirà l’essenziale, tanto che le persone dovranno pagarsi tutto da soli, inclusi i servizi a copertura dei bisogni essenziali. Solo per il 7,5% garantirà la copertura di tutti i bisogni, anche al di là di quelli essenziali.
Il boom della povertà. Nel 2020 2 milioni di famiglie italiane vivono in povertà assoluta, con un aumento rilevante rispetto al 2010, quando erano 980.000: +104,8%. L’aumento è sostenuto soprattutto al Nord (+131,4%), rispetto alle aree del Centro (+67,6%) e del Sud (+93,8%). Tra le famiglie cadute in povertà assoluta durante il primo anno di pandemia, il 65% risiede al Nord, il 21% nel Mezzogiorno, il 14% al Centro. Il disagio sociale ha assunto forme inedite, materializzandosi nel rapporto non sempre facile con il digitale sperimentato da quote significative della popolazione. Lo affermano il 35,2% degli studenti degli ultimi anni delle superiori e dell’università, che hanno avuto difficoltà nella formazione a distanza, e l’11% degli occupati alle prese con le proprie attività lavorative in versione digitale. Per il 60,7% degli italiani, in assenza di interventi adeguati, il digitale aumenterà le disuguaglianze tra le persone. L’86,3% ritiene la connettività a internet un diritto fondamentale, al pari della tutela della salute, della pensione per la vecchiaia o delle tutele sul lavoro.
Il «silver welfare» è ancora importante. Nel 2020 le famiglie con almeno un pensionato da lavoro sono 8,7 milioni (pari al 33,4% del totale), con un aumento del 2,1% rispetto al 2019, ovvero 177.000 nuclei familiari in più. Si tratta di un dato in controtendenza rispetto al decennio antecedente al Covid-19 (2010-2019), quando la stessa tipologia di famiglie era diminuita di 249.000 unità (-2,8%). Sempre nel periodo 2019-2020 le coppie di pensionati con figli sono aumentate del 2,7% e sono diventate complessivamente 1,2 milioni, mentre nel periodo 2010-2019 si era registrata una variazione negativa, pari a -26,7%. Tra il 2019 e il 2020 si contano 443.000 nuclei monogenitoriali con almeno un pensionato, aumentati in dodici mesi di 18.000 unità (+4,1%), a fronte di un calo nel periodo 2010-2019 di 36.000 unità (-7,8%). La crescita delle tipologie familiari in cui coesistono genitori pensionati con figli rilancia con forza il tema della rilevanza sociale delle pensioni. Il 69,7% degli italiani pensa infatti che gli anziani siano il bancomat di figli e nipoti. Nel tempo andrà valutato l’impatto economico delle misure di anticipo del pensionamento introdotte in questi anni: nel 2020 si registrano 291.479 pensioni anticipate contro le 269.528 pensioni di vecchiaia, mentre nel 2019 le prime erano state 299.416 e quelle di vecchiaia 155.625.
3 Dicembre 2021