Nell’ultimo decennio, la grande trasformazione del sistema dei media ha prodotto una vera e propria rivoluzione copernicana, che ha posto l’io-utente al centro del sistema, potenziando notevolmente la sua capacità di arbitraggio individuale: internet diventa così il dispositivo d’elezione del soggettivismo nell’epoca contemporanea. I processi fondamentali della grande trasformazione sono stati analizzati anno dopo anno dai Rapporti sulla comunicazione del Censis. Qui di seguito si riportano i concetti chiave delle ultime edizioni, a partire dal 2011:
- la moltiplicazione dei mezzi e la personalizzazione dell’impiego dei media, che ha favorito la desincronizzazione dei palinsesti collettivi e la personalizzazione delle modalità di fruizione dei contenuti di intrattenimento e dei percorsi di accesso alle informazioni, scardinando così la gerarchia tradizionale dei mezzi, che attribuiva alle fonti professionali e autorevoli dell’informazione mainstream un ruolo esclusivo;
- l’ingresso nell’era biomediatica, caratterizzata dalla trascrizione virtuale e dalla condivisione telematica in tempo reale delle biografie personali attraverso i social network, che sancisce il primato dell’io-utente, produttore esso stesso ‒ oltre che fruitore ‒ di contenuti della comunicazione;
- si è così inaugurata una fase nuova all’insegna della primazia dello sharing sul diritto alla privacy: l’io è il contenuto e il disvelamento del sé digitale è diventata la prassi comune. “Broadcast yourself!”, recita il pay-off di YouTube. L’individuo si specchia nei media (ne è il contenuto) creati dall’individuo stesso (ne è anche il produttore): i media sono io;
- si è quindi arrivati all’avvio del nuovo ciclo della economia della disintermediazione digitale (dall’e-commerce all’home banking, dai rapporti in rete con le amministrazioni pubbliche alla condivisione online di beni e servizi), con lo spostamento della creazione di valore da filiere produttive e occupazionali tradizionali in nuovi ambiti, perché per i cittadini e i consumatori si amplia notevolmente la gamma degli impieghi di internet, che oggi consente di rispondere a una pluralità di bisogni molto più articolati e sofisticati rispetto alla sola esigenza di comunicare, di informarsi e di intrattenersi;
- si è dunque radicata la fede nel potenziale di emancipazione delle comunità attribuito ai processi di disintermediazione resi possibili dalla rete attraverso il lifelogging, il self-tracking e i big data, all’interno di un percorso che potremmo definire di autodeterminazione digitale basata sul continuo feedback dei dispositivi tecnologici (per questa via, i media digitali hanno finito per contribuire alla divaricazione del solco tra élite e popolo);
- di conseguenza, si sono prodotti effetti di frammentazione dell’immaginario collettivo, cioè di quell’insieme di valori, simboli, miti d’oggi in grado tanto di plasmare le aspirazione individuali e i percorsi esistenziali di ciascuno, quanto di definire l’agenda sociale condivisa. Perché l’immaginario domanda di essere realizzato e nella vita quotidiana veicola i bisogni, mette in circolazione sogni e desideri, accende le fantasie. Oggi assistiamo alla corrosione dell’immaginario collettivo che aveva fatto da carburante al modello di crescita economica e identitaria della nazione nel ciclo storico precedente. Anche perché ai grandi mezzi di comunicazione di massa del passato, che una volta agivano come potenti motori di formazione di un immaginario compatto e omogeneo, si sono affiancati o sostituiti i dispositivi digitali personali, gli influencer del web e i follower dei social network;
e oggi si assiste anche alla crisi dello star system tradizionale: alla “casta” del cinema, lontana e inarrivabile, si sostituiscono i selfie e i like sui social network, i nuovi atelier del successo. Con la conseguente perdita di suggestione di quelle tradizionali figure nei confronti delle quali si generavano processi di imitazione e identificazione.