Roma, 4 dicembre 2015 – Adolescenti e internet: consolidare il ruolo educativo della scuola. Secondo il 78,2% del panel di dirigenti scolastici consultati nell’ambito di una indagine del Censis, in collaborazione con la Polizia postale e delle comunicazioni, gli studenti sono esposti a pericoli virtuali come a pericoli reali, e solo per il 17,7% internet rappresenta il rischio più pericoloso. È a casa che il 90,2% dei rispondenti ritiene che sia più alta l’esposizione a un uso improprio di internet, cui si aggiungono gli altri luoghi e momenti del tempo libero (9,6%). La scuola, viceversa, è considerata dai dirigenti intervistati un luogo sicuro, controllato, e solo lo 0,2% del totale segnala il possibile rischio. Tra i pericoli del web, in una scala che da va da 1=minima probabilità a 10=massima probabilità, i dirigenti indicano in primo luogo le prepotenze online che, se reiterate, danno luogo a vere e proprie forme di cyberbullismo (7,0), ma segnalano anche le insidie insite nella diffusione dei giochi online (6,4). Minori ma non inesistenti sono ritenute le probabilità per uno studente di essere adescato online (5,4), di essere spinto verso qualche forma di disturbo alimentare (3,9) o di essere vittima di siti web che svolgono proselitismo religioso e/o terroristico (3,2). Il 54,9% dei dirigenti scolastici ha dovuto gestire negli anni casi di cyberbullismo, percentuale che sale ulteriormente tra i dirigenti delle scuole secondarie di II grado (59,3%). Rendere i genitori consapevoli della gravità dell’accaduto rappresenta la principale difficolta da loro incontrata nella gestione dei casi critici (58,5%). Le Forze di polizia risultano essere i principali attori di supporto (73,6%) al 56,6% di istituzioni scolastiche che hanno organizzato incontri con i genitori su internet e i nuovi media. Il 51,2% degli intervistati afferma che nell’offerta di formazione e aggiornamento loro destinata non sia dato uno spazio sufficiente alle tematiche dei rischi di internet per i minori. Ancora maggiore (69,4%) è il fabbisogno di formazione per il personale Ata.
Meno immatricolati, ma più studenti che proseguono gli studi universitari. Tra l’anno accademico 2010-2011 e il 2013-2014 gli immatricolati ai corsi di laurea triennali e a ciclo unico sono diminuiti del 4,9%, cioè di quasi 12.000 unità. A una riduzione dell’11,2% degli immatricolati nel Sud e nelle isole ‒ dove permane ancora oltre il 30% dell’utenza ‒ si contrappongono un incremento del 4% tra quelli del Nord-Ovest e decrementi più ridotti tra le popolazioni universitarie del Nord-Est e del Centro, rispettivamente -3,6% e -5,2%. Il 44,2% degli immatricolati continua a concentrarsi nei mega atenei, sebbene nel periodo considerato si sia verificato un travaso di immatricolati dai grandi e medi atenei (-35,4%) verso i piccoli atenei, che hanno registrato un incremento di immatricolati pari a +42,4%. Le spese degli atenei per gli interventi a favore degli studenti, all’interno dei quali sono allocate le risorse per orientamento e tutoraggio, sono diminuite di oltre 7,5 milioni di euro, passando dai 47 milioni del 2010 ai 39,5 milioni del 2013. Nelle Regioni del Nord si è concentrato nel 2013 oltre il 60% delle risorse.
Donne immigrate: un capitale umano da valorizzare. Il confronto tra i titoli di studio di donne italiane e donne straniere con età superiore a 15 anni rivela un forte investimento in istruzione da parte delle straniere, che detengono un diploma secondario o post-secondario nel 41,1% dei casi, a fronte del 33,5% delle donne italiane, e hanno un diploma di istruzione terziaria in quota pressoché equivalente a queste ultime (italiane 13,5%, straniere 13%). Gli uomini stranieri con diploma secondario o post-secondario sono il 38,2% e quelli con un titolo di istruzione terziaria solo il 7,2% del totale. La maggiore formazione delle donne straniere accresce notevolmente il mismatch tra impiego svolto e titolo di studio posseduto, superiore a quello degli uomini stranieri e a quello delle donne italiane. I dati relativi al 2014 indicano che solo lo 0,3% dei lavoratori italiani e lo 0,2% delle lavoratrici italiane con titolo di studio terziario vengono impiegati in lavori non qualificati, mentre il dato sale al 15,3% tra gli immigrati e arriva al 15,5% per le donne straniere. Tra le straniere che provengono dai Paesi extraeuropei la percentuale di donne con istruzione terziaria che svolge lavori non qualificati raggiunge il 19,1%
L’alternanza scuola-lavoro: un’opportunità per tutti? Nel 2013-2014 ha realizzato percorsi alternanza scuola lavoro (Asl) il 43,5% degli istituti, ma solo il 13,3% dei licei può vantare un’esperienza pregressa. Anche per gli istituti con esperienza consolidata, il dover organizzare percorsi di Asl secondo le modalità stabilite dalla legge non sarà indolore e comporterà una profonda innovazione nei modelli organizzativi, gestionali e pedagogici. I percorsi finora realizzati hanno coinvolto al massimo, in un anno, poco più di 200.000 studenti (il 10,3% del totale) e hanno avuto una durata media di circa 70-80 ore. La platea è oggi molto più ampia (più di 500.000 iscritti al terzo anno di studi solo nell’anno scolastico 2015-2016 e, nel prossimo triennio, circa 1,5 milioni di studenti), cui dovranno essere garantite almeno 400 ore di percorso nei tecnici e nei professionali e almeno 200 ore nei licei. Il panel di dirigenti di scuola secondaria di II grado consultati dal Censis nel 75,4% dei casi ritengono che l’introduzione generalizzata dell’alternanza avrebbe bisogno di tempi più lunghi, in quanto comporta una profonda rivisitazione dell’organizzazione scolastica e degli insegnamenti disciplinari. Il 71,1% prevede che non sarà possibile garantire a ogni studente del triennio finale un percorso in alternanza, in quanto nel territorio non vi sono sufficienti aziende disponibili ad accogliere studenti. È questa un’opinione diffusa soprattutto tra i dirigenti degli istituti del Sud (86,4%), dove il tessuto imprenditoriale è più rarefatto. Ciò nonostante, gli stessi dirigenti ritengono positivo l’aver stabilito un tetto minimo di ore dedicate ai percorsi di alternanza: il 71,8% si dichiara d’accordo sul fatto che tale durata sia una condizione essenziale per garantire l’efficacia e la serietà della proposta formativa in alternanza.
La programmazione scolastica alla «prova del 3»: il Piano triennale dell’offerta formativa. Il panel di dirigenti scolastici consultati dal Censis ritiene in maggioranza che l’aspetto più positivo dell’introduzione del Piano triennale dell’offerta formativa (Ptof) sia proprio la sua durata triennale, che permette di effettuare una programmazione più adeguata e coerente con gli obiettivi formativi e di valutarne gli impatti (62,7%). Al secondo posto (59,8%) si colloca la possibilità di correlare tale programmazione alla concreta disponibilità di risorse umane, strumentali e finanziarie. Nella predisposizione delle linee di indirizzo, i dirigenti hanno preso in considerazione i risultati del processo di autovalutazione della scuola e la conseguente individuazione degli ambiti di miglioramento (99,3%). L’altro punto cardine dei Ptof che verranno predisposti è quello dell’esigenza di tenere in debita considerazione le richieste del territorio e dell’utenza (97,7%).
4 Dicembre 2015