Roma, 4 dicembre 2015 – Giovani imprenditori: un’«impresa» possibile. L’Italia ha il più ampio numero di giovani lavoratori autonomi tra i principali Paesi europei: sono 941.000 (nella classe 20-34 anni), seguiti da 849.000 inglesi e 528.000 tedeschi. Il nostro Paese può contare anche su un bacino di potenziali start up vitale e in continuo fermento. Il 15% dei giovani italiani (16-30 anni) ha intenzione di avviare una start up nei prossimi anni. E sono circa 7.000 i giovanissimi titolari d’impresa in più oggi rispetto al 2009 (+20,4%) in alcuni e ben caratterizzati settori, riscuotendo preziosi risultati sul piano personale e di sistema. Tra i segmenti più dinamici un ruolo particolare è svolto dall’area della ristorazione e della ricettività, nella quale operano quasi 20.000 titolari d’impresa al di sotto dei 30 anni (il 9,8% del totale).
Donne e libere professioni alla prova del welfare. Negli anni più recenti è aumentata la schiera delle libere professioniste, con un saldo positivo di 100.000 occupate tra il 2008 (325.000) e il 2014 (426.000). Si è trattato di nuova occupazione (il saldo del periodo è pari a 63.000 neo-occupati), ma anche di un travaso da altre forme di lavoro. Fatto 100 il numero complessivo di occupate al 2008, il dato riferito al 2014 risulta sostanzialmente invariato (100,7), mentre è stata netta la crescita delle libere professioniste (130,9). La sfida cui oggi è chiamato il mondo libero-professionale è di rafforzare le tutele e gli strumenti di assistenza a sostegno dei lavoratori, in particolare dell’universo femminile. Problemi connessi alla salute, situazioni legate alle responsabilità familiari, la maternità hanno coinvolto nel corso degli ultimi cinque anni il 37,8% delle professioniste, eventi che in un elevato numero di casi finiscono poi per ripercuotersi direttamente o indirettamente sulla sfera professionale: il 42,7% di quante si sono trovate in una delle situazioni critiche ha dovuto ridurre l’attività lavorativa; il 20%, pur non avendo ridotto l’attività, ha affrontato problemi con clienti, colleghi o altre persone della cerchia familiare o amicale; per un 18,8%, invece, l’attività lavorativa si è interrotta; solo il 18,6% afferma che, malgrado la complessità della situazione, l’attività lavorativa non ne ha risentito in alcun modo. La crisi e i mutamenti in atto all’interno del mondo libero-professionale hanno spinto le Casse di previdenza privatizzate a non limitare il loro ruolo alle sole prestazioni previdenziali. Oltre alla maternità, ambito già presidiato e che oggi vede sfiorare gli 85 milioni di euro di prestazioni erogate dalla Casse, l’offerta di prestazioni sanitarie integrative (78,8 milioni di euro), interventi a sostegno degli iscritti (33,3 milioni per stato di bisogno, malattia, infortunio, assegni per nucleo familiare, ecc.) e ammortizzatori sociali (66,5 milioni), sono cresciuti sensibilmente negli anni della crisi.
Il profilo basso del lavoro. La crisi e le tecnologie digitali e dell’automazione stanno modificando la struttura occupazionale dei Paesi a economia avanzata. La riduzione di 320.000 addetti rispetto al 2011, corrisponde all’1,4% del totale dell’occupazione, sintetizza da un lato una caduta dell’occupazione operaia e artigiana di quasi 600.000 addetti, dall’altro l’incremento di quasi 180.000 unità per il personale non qualificato (+7,9%), cui si aggiungono circa 100.000 addetti in più nelle categorie professionali medio-alte. Le previsioni per l’Italia al 2025 segnalano incrementi per quanto riguarda i dirigenti (+68%), le professioni intellettuali e scientifiche (+23%), le professioni tecniche intermedie (+18%). Più contenuta la dinamica positiva del personale non qualificato (+3,6%) e negativa quella concernente gli impiegati (-1,2%), mentre il lavoro nel terziario e nell’agricoltura, così come il lavoro artigiano e operaio, mostrerebbero una sostanziale riduzione, con variazioni che raggiungono il 23% in ambito agricolo.
Occupazione globale, mobilità del lavoro e riconfigurazione dei flussi. Il quadro dell’occupazione globale è oggi dato da un totale delle forze di lavoro che nel 2014 ha raggiunto quasi 3,4 miliardi di unità, di cui circa 263 milioni sono riconducibili ai Paesi a più basso reddito, mentre 685 milioni risiedono nei Paesi più ricchi e 534 milioni nei Paesi appartenenti all’Ocse, mentre in Cina se ne contano 802 milioni e in India toccano i 488 milioni. L’occupazione totale è pari a 3,1 miliardi di unità, di cui 249 milioni presenti nei Paesi più poveri, 631 milioni nei Paesi più ricchi, 490 nei Paesi Ocse, mentre la Cina da sola mostra un volume pari a 765 milioni di occupati e in India l’occupazione sfiora i 470 milioni. L’area della disoccupazione è stimata a livello mondiale a un tasso del 6% sul totale delle forze di lavoro (pari a circa 200 milioni di persone), sale all’8% nei Paesi Ocse, scende al 5% nei Paesi a più basso reddito, mentre il tasso di disoccupazione cinese è ugualmente al 5% (oltre 40 milioni di persone) e l’India registra un tasso di disoccupazione del 4% (circa 20 milioni). Lo spostamento di ampie masse della popolazione mondiale è uno dei principali fenomeni cui stiamo assistendo. Oggi sono più di 200 milioni i migranti che attraversano le frontiere. Di questi, 90 milioni sono lavoratori migranti, anche temporanei, e rappresentano tra il 2,5% e il 3% della popolazione mondiale. In alcuni Paesi, come Israele, Kuwait, Qatar e Singapore, la popolazione straniera raggiunge anche il 40% del totale. Australia e Canada presentano quote di popolazione straniera che si aggirano intorno al 20%, mentre gli Stati Uniti sono il Paese di destinazione che in termini assoluti ospita il maggior numero di stranieri, pari a quasi 43 milioni. Seguono la Russia con 12,3 milioni e la Germania con 10,8 milioni. I Paesi a più alto volume di migranti in uscita sono il Messico con 10,1 milioni, l’India con 9,1 milioni e il Bangladesh con circa 6 milioni. La popolazione urbana a livello mondiale ha superato nel 2014 i 3,8 miliardi di unità, di cui 1,1 miliardi presenti all’interno dei Paesi avanzati, mentre più di 2,7 miliardi risiedono nelle grandi aree urbane dei Paesi a basso e medio reddito. In totale, circa il 53% della popolazione mondiale vive in città che ormai sfuggono a una perimetrazione certa e hanno una concentrazione di diverse migliaia di persone per chilometro quadrato. Nei Paesi più ricchi la quota di urbanizzati raggiunge l’81%, mentre nei Paesi a basso e medio reddito è del 43%.
4 Dicembre 2015