Roma, 5 dicembre 2008 – Politiche 2008: vincono le intese territoriali, ma cresce la voglia di Stato. Le elezioni 2008 hanno dato voce alla voglia di governo degli italiani. Il fattore che più ha inciso sulla scelta elettorale è stata la volontà di ridurre la litigiosità della politica e le divisioni che impediscono a chi vince di governare e di decidere (per il 27,4% degli elettori), segue l’onestà dei candidati (23,5%), la loro capacità di tutelare gli interessi dell’elettore (18,7%), l’identificazione con valori e ideali (17,5%), l’avversione alla concentrazione del potere in un unico partito o leader (14,6%), l’avversione per uno o più personaggi politici (13,9%). Malgrado la competizione elettorale si sia fortemente giocata sulla dimensione locale, con il prevalere di temi territoriali (i rifiuti, l’immigrazione, la sicurezza), emerge la domanda di un ruolo forte dello Stato. Passa infatti dal 33,3% del 2001 al 46,1% del 2006, fino al 47,5% del 2008 la quota di elettori che ritengono occorra dare più potere allo Stato centrale (le Regioni passano dal 39% del 2001 al 28,4% del 2008, Comuni e Province si fermano al 24,1%). Cresce dal 56,2% delle precedenti elezioni al 63% la percentuale di elettori che esprimono una valutazione positiva sulla riduzione delle tasse.
L’approccio inverso all’incolumità personale. Mentre il luogo di lavoro e la strada mancano ancora di presidi efficaci per garantire la piena sicurezza dei cittadini, tutte le attenzioni si concentrano sulla criminalità. Nel 2007, a fronte dei 627 omicidi commessi nel nostro Paese, si sono verificati 1.170 morti sul lavoro e 5.131 decessi per incidenti stradali: il rischio di mortalità su strada è 8 volte superiore a quello dipendente da comportamenti criminosi. Tra i principali Paesi europei, l’Italia registra la più bassa incidenza di omicidi rispetto alla popolazione (1,12 ogni 100 mila abitanti, contro 1,48 nel Regno Unito e 1,39 in Francia) e negli ultimi anni (tra 2000 e 2006) ha avuto, dopo la Germania (-24,3%), la contrazione più significativa del fenomeno (-18,9% contro -16,4% in Francia, -14,1% in Spagna e -10,1% nel Regno Unito). Al contrario, in Italia si contano 2,6 morti sul lavoro ogni 100 mila occupati (al netto dei morti in itinere, ovvero deceduti nel tragitto casa-lavoro o in strada durante l’esercizio dell’attività lavorativa) contro i 2 in Francia, 1,8 in Germania, 1,4 nel Regno Unito. Nel 2007 i decessi sulle strade italiane (5.131) sono stati più numerosi che in Paesi anche più popolosi del nostro, come Regno Unito (3.058), Francia (4.620) e Germania (4.949). Siamo il Paese con la più alta incidenza di morti su strada ogni 100 mila abitanti (8,61 contro 8,44 in Spagna, 7,25 in Francia, 6,02 in Germania, 5 nel Regno Unito). Tutti i grandi Paesi, inoltre, hanno visto ridurre sensibilmente il numero delle vittime della strada tra 2000 e 2007 (-42,8% in Francia, -34% in Germania, -33,8% in Spagna) mentre l’Italia ha registrato il miglioramento meno marcato (-27,3%).
Ripensare le strategie di rappresentanza a Bruxelles. Gli italiani che considerano che l’appartenenza all’Europa porta un vantaggio al nostro Paese hanno toccato il minimo storico, passando dal 51% del 2000 al 37% della primavera 2008. Gli euroentusiasti sono invece aumentati nella media dell’Ue dal 47% al 54%. L’Italia non ha saputo approfittare appieno delle opportunità offerte dall’unificazione. Nell’ambito del 6° Programma quadro di ricerca e sviluppo, ad esempio, malgrado l’elevato numero di progetti presentati con almeno un partecipante italiano (12.060), solo 2.314 sono stati ammessi a finanziamento, con un tasso di successo tra i più bassi d’Europa (19%). Dopo il Belgio, il nostro è il Paese con la più alta rappresentanza di funzionari in sede europea (2.578 pari al 10,5% del totale), senza però un’adeguata capacità di incidere sul processo decisionale: sono solo 152 i funzionari italiani che occupano posizioni apicali, come direttori generali o capi unità (il 5,9% del totale dei funzionari italiani presenti a Bruxelles), un numero di gran lunga inferiore a quello di Francia (223), Belgio (181) e Germania (173).
Le politiche del turismo al giro di boa. La difficile congiuntura economica rischia di vanificare i deboli segnali di ripresa che il mercato turistico italiano aveva mostrato in quest’ultimo biennio. Il 2008 sembrerebbe chiudersi all’insegna della staticità, e anche le prospettive per il 2009 appaiono incerte. Secondo un’indagine Censis condotta ad ottobre 2008, il 25,6% delle famiglie pensa che nel 2009 dovrà rinunciare ad andare in vacanza, mentre il 20,6% ha previsto di ridurre le spese destinate a questa voce del bilancio familiare. Dal 1990 al 2007 i flussi turistici internazionali sono più che raddoppiati a livello mondiale, ma in Italia l’aumento è stato più debole (+63,6%), con una quota del mercato mondiale diminuita dal 6,1% al 4,8%.
Politiche per lo sport: il passaggio di logica che serve. Tra società sportive e organizzazioni territoriali (del Coni, delle Federazioni sportive, delle discipline associate, ecc.) si arriva a una rete di quasi 95.000 punti di offerta dislocati capillarmente su tutto il territorio italiano (un centro ogni 631 abitanti). Quello sportivo è il sistema d’offerta più ampio e ramificato in Italia, più delle tabaccherie (73 mila), dei bar (62 mila), delle scuole o delle banche. Per la stragrande maggioranza degli italiani, sport è sinonimo di benessere fisico (81,4%), divertimento (38,6%), competitività (16,5%), socialità e rapporto con gli altri (15,9%). In pochi associano la parola a un disvalore, come i guadagni troppo elevati (11,9%) o il doping (8,7%). I due nuovi fenomeni sono: la femminilizzazione dello sport (nel 1995 la pratica sportiva interessava il 18,6% delle donne, nel 2008 il 25,1%) e l’accesso allo sport delle generazioni più adulte (passa dal 12,6% al 21,7% la quota di sportivi di 55-59 anni, dal 9% al 17,9% quella di 60-64 anni).
5 Dicembre 2008