Roma, 5 dicembre 2008 – I fattori in bilico nel mercato del lavoro. Nei primi due trimestri del 2008 si registra un aumento delle persone in cerca di occupazione pari al 20,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La mancanza di lavoro colpisce soprattutto soggetti precedentemente occupati (+27,9%) e persone in cerca di prima occupazione (+5,8%). Dal 2004 al 2007 il tasso di attività femminile è passato dal 50,6% al 50,7%, il tasso di occupazione dal 45,2% al 46,6%, il tasso di disoccupazione dal 10,5% al 7,9%. Siamo ancora lontani dai livelli del Nord Europa, e le donne rischiano di essere le più colpite dalla possibile crisi occupazionale. Inoltre, nel 2007 si è registrato un aumento della frequenza dei conflitti di lavoro (passati da 545 casi a 654) e del coinvolgimento dei lavoratori (416.249 nel 2006, 882.097 nel 2007, con 6 milioni 322 mila ore di lavoro perse rispetto a 3 milioni 144 mila dell’anno precedente).
La flessibilità come male minore. Il lavoro di per sé non garantisce più livelli assoluti di sicurezza, se è vero che anche chi occupa posizioni elevate nella stratificazione professionale e reddituale teme per la propria stabilità. Per l’84,7% delle persone in età attiva l’impoverimento individuale non è gonfiato dal ceto politico, ma è una situazione reale. È di questo parere soprattutto chi appartiene alle fasce di reddito medio-basso (87,3%), ma anche chi occupa livelli di qualifica alti o svolge un lavoro autonomo. L’aspetto su cui c’è maggiore consenso è la difficoltà di crescita dei redditi da lavoro (94,4%), che si lega a doppio filo alla possibilità di mantenere lo stesso tenore di vita di soli tre anni fa (94,4%). La flessibilità continua a crescere: +3,6% dal 2004 al 2007, arrivando a interessare l’11,9% degli occupati. L’identikit dell’occupato atipico: giovane (ma non solo, visto che il 9% delle persone con contratto flessibile hanno 34-44 anni) e donna (il 52,2% del totale).
L’arcipelago del lavoro pubblico. I lavoratori a tempo indeterminato nelle amministrazioni pubbliche sono 3.366.467, in calo di circa 26 mila unità rispetto al 2006. La scuola, il Servizio sanitario nazionale, le Regioni e le autonomie locali occupano nell’insieme quasi 7 dipendenti pubblici su 10 (2.343.850 unità). Il personale pubblico si concentra principalmente in Lombardia (12,5%), Lazio (11,9%) e Campania (10%). A causa del blocco delle assunzioni, dal 2004 il ricorso al lavoro flessibile nelle amministrazioni pubbliche è aumentato del 7,4%. Soprattutto in alcuni comparti: il Servizio sanitario nazionale (+35%) e le Regioni a statuto speciale e le Province autonome (+28,8%). L’aumento non ha interessato invece le Università (-13,8%), i Ministeri (-14,2%) e soprattutto la Presidenza del Consiglio (-81%).
La socialità a basso regime delle donne imprenditrici. L’imprenditoria femminile (il 25% delle imprese italiane) cresce a ritmi più sostenuti di quella maschile. 7 donne su 10 hanno creato l’impresa da sole, non solo per necessità di lavorare o per non far chiudere l’attività di famiglia, ma anche per seguire una propria vocazione. Ma l’interazione fra le imprenditrici e il livello comunitario più prossimo, ossia il sistema di sviluppo locale, è molto bassa: solo il 6,3% comprende gli altri imprenditori nei propri circuiti relazionali, solo il 4,7% entra in contatto con le organizzazioni di categoria.
La ritrovata fiducia per le professioni intellettuali. Il mercato è già una dimensione integrante della professione di avvocato. Al cliente interessa che il professionista sia competente, affidabile e che possa risolvere il suo problema. La chiarezza sulle tariffe praticate è ritenuta medio-alta nella maggioranza dei casi, e solo il 17,9% la considera scarsa; solo il 6,3% di chi ha cambiato avvocato lo ha fatto perché la parcella era troppo cara; il 58,1% ritiene che la giustizia non costa tanto per colpa degli avvocati, smentendo un radicato luogo comune; per l’87,3% dei clienti non è vero che se un avvocato pratica tariffe troppo basse vuol dire che non è bravo.
5 Dicembre 2008