Roma, 4 dicembre 2015 – Tra le pieghe del lavoro immigrato. Negli anni della crisi gli indicatori sull’inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro, da sempre caratterizzati da tassi di occupazione superiori a quelli degli italiani, si sono logorati progressivamente. Il tasso di occupazione, che era del 67% nel 2008, è sceso al 58,1% nel primo semestre del 2015, risultando di poco superiore a quello dei cittadini italiani, che è pari al 55,6% nei primi mesi dell’anno. E la disoccupazione ha visto un progressivo ampliarsi della forbice tra stranieri e italiani, per cui nel primo semestre del 2015 gli stranieri hanno un tasso di disoccupazione del 17,2%, circa 5 punti sopra il valore del 12% registrato per gli italiani. Il bacino di immigrati in cerca di lavoro è fortemente aumentato negli ultimi anni, al punto che nel primo semestre del 2015 risultano essere ben 483.000 gli stranieri in cerca di una occupazione, quasi il doppio dei 250.000 del 2010. La componente straniera delle forze lavoro è anche quella che, pure negli anni della crisi, ha visto comunque crescere il numero degli occupati, che sono passati da 1.912.000 nel 2010 a 2.322.000 nel primo semestre del 2015, contrariamente a quanto registrato per gli italiani. Ma si tratta di una buona notizia a metà, perché aumentano gli stranieri disoccupati e inattivi, e perché le occupazioni continuano a essere quelle più dequalificate, faticose e poco retribuite. Il 65,9% degli immigrati svolge un lavoro manuale (il 35,6% un lavoro non qualificato) e solo il 34,1% è un impiegato, professionista, dirigente o quadro. Per gli italiani il rapporto è capovolto, per cui il 68,9% svolge un lavoro di concetto e solo il 31,1% un lavoro manuale. Gli immigrati costituiscono ovviamente una risorsa poco costosa per i datori di lavoro: appena l’1,3% guadagna più di 2.000 euro al mese, a fronte dell’8,3% degli italiani, e circa l’80% percepisce al massimo 1.200 euro (e tra questi il 39,2% meno di 800 euro). Continua a crescere però il numero degli stranieri che fanno impresa: negli ultimi tre anni sono aumentati del 12,9%, rispetto alla contrazione del 4,7% che si registra nello stesso periodo per le imprese italiane. Le oltre 443.000 imprese a guida straniera rappresentano ormai il 13,7% delle imprese complessivamente presenti in Italia.
La silenziosa crescita dell’emigrazione, di italiani e non. L’emigrazione dall’Italia ha subito una netta accelerazione negli anni della crisi, con il numero di espatriati più che raddoppiato: dai 51.113 del 2007 ai 136.328 del 2014, il valore più alto mai registrato dagli anni ’70 a oggi. Se nel 2007 ogni dieci iscritti dall’estero vi era una persona che lasciava l’Italia, con un saldo di 476.010 persone che rimanevano nel nostro Paese, nel 2014 il rapporto è di una cancellazione ogni due nuove iscrizioni, con un saldo di 141.303 iscritti. Una disaffezione per il nostro Paese che riguarda tanto gli italiani quanto gli stranieri, accomunati da una subentrata incapacità di vedere il proprio futuro in Italia, che li porta a mettere (o rimettere) la propria vita in gioco e tentare la fortuna all’estero. Negli anni della crisi il numero degli italiani espatriati ha registrato una crescita del 124,8%, incessante e continuata, con un totale di 88.859 persone cancellate nel 2014 a fronte delle 39.536 del 2008. Per gli stranieri l’aumento è del 114,5%, con 47.469 cancellazioni nel 2014 a fronte delle 22.135 di sette anni prima. Ma chi sono e dove vanno gli italiani che si trasferiscono all’estero? Nella maggior parte dei casi (il 51,6%, pari a 42.342 persone) si tratta di giovani tra i 18 e i 39 anni, che si trovano, quindi, tra la fase conclusiva della formazione e l’età dell’inserimento e della stabilizzazione lavorativa. Gli uomini (57,6%) prevalgono sulle donne e il 30,6% è in possesso di una laurea. Non stupisce che oltre due italiani su tre (il 71,7%), interrogati sull’opportunità che i nostri giovani si trasferiscano all’estero, rispondono che è un bene farlo, almeno per un periodo (36,1%) o addirittura per sempre (35,6%).
Curare la corruzione in sanità. Tra tutti i settori della Pubblica Amministrazione, quello sanitario è particolarmente esposto alle pratiche corruttive. Il 44% degli italiani ritiene che tangenti e abusi di potere siano diffusi all’interno del sistema sanitario: un dato decisamente superiore alla media europea (33%). Quando però si chiede a quelli che nell’ultimo anno hanno avuto a che fare con il sistema sanitario nazionale se hanno dovuto effettuare un pagamento extra o offrire regali di valore a medici o infermieri, le risposte positive scendono al 4%. Nel 2014 e nei primi sei mesi del 2015 la Guardia di Finanza ha accertato un danno per l’erario superiore a 5,7 miliardi di euro; di questi, i danni erariali in materia sanitaria assommano a 806 milioni di euro, pari al 14,1% del totale.
L’integrazione passa anche attraverso il cibo. Tra gli stranieri che vivono nel nostro Paese, 9 su 10 pensano che il cibo rappresenta un elemento in grado di facilitare l’incontro tra le persone e le culture. Lo è, nei fatti, se si pensa che il 40,5% degli stranieri residenti in Italia si è trovato a preparare piatti della propria tradizione per italiani e il 37,1% ha insegnato a questi ultimi ricette del proprio Paese d’origine, dimostrando come il cibo crei anche occasioni di relazionalità e integrazione. La cucina italiana entra dentro le mura domestiche delle famiglie straniere e convive con le ricette del Paese d’origine, a volte integrandole, a volte trasformandole in qualcosa di diverso attraverso accostamenti originali di sapori e ingredienti. Tra chi sa cucinare (ovvero il 74,9% degli stranieri in Italia), la maggior parte (il 71,9%) dichiara di essere in grado di preparare piatti e ricette italiane. Il 61,8% dichiara di avere imparato da amici, conoscenti o datori di lavoro italiani, mentre il 33% segue la curiosità e la pratica quotidiana, e il 25,7% la televisione.
La crescita delle insicurezze mette a rischio il rapporto con gli immigrati. La discriminazione etnica è in crescita in tutta Europa: il 64% dei cittadini dell’Ue ritiene che la discriminazione sia diffusa nel proprio Paese e il dato sale al 73% tra gli italiani. Sono dati in crescita rispetto a quelli del 2012, quando erano il 56% degli europei a percepire la presenza di forme di discriminazione etnica nel proprio Paese e il 61% degli italiani. Quando però si passa a esempi concreti, i pregiudizi sembrano in parte cadere. La maggior parte dei cittadini europei (71%) e italiani (69%) dichiara che si sentirebbe a suo agio se una persona di origine etnica diversa da quella della maggior parte della popolazione ricoprisse la carica politica più alta nel proprio Paese. E solo una minoranza di italiani dichiara che si sentirebbe a disagio se avesse un collega di lavoro appartenente a un altro gruppo etnico, di colore (14%) o di origini asiatiche (14%). Barriere e muri, invece, non cadono quando si propone una persona di etnia rom. Su questo gli italiani dichiarano nel 43% dei casi che non si sentirebbero a proprio agio se avessero come collega una persona rom (a livello europeo il dato si ferma al 20%).
4 Dicembre 2015