Lo scambio generazionale spostato verso l’alto
Nell’anno del primo censimento post bellico in Italia vivevano 47.515.537 individui; oggi i residenti sono 60.359.546: pur essendo cresciuti di quasi tredici milioni (+ 27,0%), negli ultimi settanta anni abbiamo perso oltre cinque milioni di minori (-34,8%) e un milione e 800.000 giovani con meno di 34 anni (-14,4%) (tab. 1).
Parallelamente sono aumentati del 61,2% i 35-64enni, figli degli anni del boom economico, che sono oltre ventisei milioni (erano poco più di 16 milioni all’inizio degli anni ’50) e rappresentano il 43,3% della popolazione, e si sono quasi triplicati i longevi di età superiore ai 65 anni, che oggi sono 13 milioni e 783.000, cresciuti del 253,9% negli ultimi settanta anni, quasi dieci milioni in valore assoluto.
In altre parole oggi l’Italia si presenta come un paese che invecchia velocemente, e in cui gli under 34 rappresentano il 33,8% della popolazione (erano il 57,7% nel 1951), mentre gli over 35 sono il 66,2% (nel 1951 erano il 42,3%).
Considerando che ormai sembra essersi esaurito anche l’effetto positivo sulla neo natalità prodotto dagli arrivi dei cittadini stranieri, più giovani e più propensi a fare figli di quelli italiani, sia perché i flussi migratori si stanno riducendo, sia perché gli stranieri tendono ad assumere gli stessi comportamenti demografici dei cittadini italiani, l’ipotesi più probabile è che negli anni futuri avremo un paese composto sempre di più di longevi e sempre di meno di minori e giovani.
Del resto, tutti i dati disponibili ci dicono che il processo di decrescita della popolazione italiana avviatosi a partire dal 2015 sembra essere ormai diventato strutturale, e che l’allungamento della vita media e i processi di acquisizione della cittadinanza da parte degli stranieri non sono più in grado di compensare il calo demografico. Nel 2019 i residenti sono diminuiti di 124.427 unità rispetto all’anno precedente, come effetto della riduzione nell’anno di 127.223 minori, 51.205 millennials, e perfino di quasi 85.216 baby boomers, e nonostante l’aumento di 139.217 cittadini che hanno più di 65 anni (tab.2).
La situazione attuale è ben rappresentata dall’universo delle famiglie Auditel, che non coincide del tutto con quello dell’Istat in quanto l’Auditel considera come nuclei famigliari le persone che coabitano stabilmente per almeno sei mesi l’anno, anche se non legate da rapporti di parentela o affettività.
Le famiglie Auditel sono 24.335.000: in sei milioni e 396.000 nuclei famigliari, il 26,3% del totale, è presente almeno un minore, mentre in circa diciotto milioni di nuclei (il 73,7% del totale) vivono solo adulti e/o anziani. Tra questi ultimi si hanno 8.430.000 famiglie in cui si trovano soli adulti e quasi sei milioni (il 24,6% del totale) in cui abitano solo over 65; infine, sono tre milioni e 530.000 le famiglie di soli adulti e anziani (tab.3).
Come dire che le case in cui vivono minori e quelle in cui vivono soli anziani oggi in Italia hanno un peso quasi equivalente, e che sono in via di estinzione i nuclei in cui convivono tre generazioni, con la compresenza sotto lo stesso tetto di over 65, adulti e minori, che sono 287.000, pari all’1,2% del totale.
L’universo composito delle famiglie di over 65
Quelli che un tempo si definivano anziani oggi sono il 22,8% della popolazione, e gli scenari demografici tracciano un quadro per cui nel 2045 saranno il 33,5% della popolazione, e aumenteranno ancora sino al 2051, anno in cui dovrebbero esaurirsi gli effetti dell’ingresso tra gli over 65 dei baby boomers (nati tra il 1961 e il 1976), e gli over 65 dovrebbero leggermente diminuire, sino ad assestarsi nel 2065 sul 33,3% della popolazione. Se queste previsioni dovessero avverarsi, nei prossimi cinquanta anni passeremo dall’attuale situazione di un anziano ogni quattro persone che vivono in Italia, a quella di un anziano ogni tre persone.
Quindi i longevi sono in crescita e continueranno ad aumentare, rappresentando un universo ampio e variegato: gli over 65 non sono più e sempre meno saranno un monolite fatto di isolamento e mancanza di relazionalità, ma già oggi rappresentano in maggioranza individui che vivono la terza e la quarta età in modo attivo, e che sono anche desiderosi di imparare a relazionarsi con le possibilità offerte dalle nuove tecnologie dell’informazione.
Le famiglie composte soltanto da individui over 65 sono quasi sei milioni e, visti gli attuali trend demografici, nei prossimi anni sono destinate a crescere ulteriormente: i dati della rilevazione di base Auditel ci dicono che rispetto allo scorso anno le famiglie di soli longevi sono 68.000 in più, a fronte di una riduzione complessivo di 33.000 famiglie in Italia.
Tra le famiglie di over 65:
- tre milioni e 169.000, pari al 53,0% del totale, hanno un solo componente;
- due milioni 767.000, pari al 46,3% sono composte di due membri;
- e 43.000 (lo 0,7% del totale) sono formate da più di due componenti, mentre in Italia le famiglie che hanno più di due componenti sono dieci milioni e 557.000, e rappresentano il 43,4% del totale (tab. 4).
I dati Auditel sulla condizione socioeconomica delle famiglie composte solo da over 65 rivelano come ci sia una differenza profonda tra chi abita da solo e i nuclei in cui si trovano due o più componenti. Nel primo caso, infatti, prevalgono situazioni di forte precarietà economica, al limite della vera e propria povertà: l’87,6% dei tre milioni e 169.000 anziani che vivono da soli si colloca in un livello economico basso o medio basso e solo lo 0,5% appartiene alla fascia alta.
Completamente diverso è il quadro dei due milioni 810.000 nuclei in cui vivono due o (raramente) più persone anziane, che possono spesso contare su due o più redditi da pensione senza avere a carico altri componenti del nucleo famigliare. Tra di loro, il 39,1% ha una condizione socioeconomica alta o medio-alta (contro il 31,1% del totale delle famiglie italiane) e il 39,3% appartiene alla fascia media (in Italia è di fascia media il 34,2% dei nuclei). Solo il 21,7% è in condizioni economiche basse o medio-basse, contro il 34,7% della media Italia (tab.5).
Piuttosto diversificata risulta essere anche la composizione per età dei nuclei di over 65enni: su un totale di cinque milioni e 979.000 famiglie, tre milioni e 148.000 (il 52,6% del totale) sono composte solo da individui che superano i 75 anni di età, un milione e 993.000 (il 33,3% del totale) hanno solo componenti che appartengono alla terza età, ovvero vanno dai 65 ai 74 anni e 839.000 (il 14,0%) hanno al proprio interno almeno un over 75 (tab.6).
Ebbene, le famiglie di over 65 che hanno almeno due componenti, che dal punto di vista socioeconomico si posizionano in una fascia che supera la media delle famiglie italiane, sono anche quelle i cui membri sono mediamente più giovani, e nel 64,7% dei casi hanno almeno un componente che non supera i 75 anni di età (tab.7).
L’analisi delle caratteristiche degli oltre tre milioni di nuclei unipersonali di over 65, tra i quali si nascondono le situazioni più critiche, di individui fragili, soli e maggiormente vulnerabili, rivela che nel 75,9% dei casi (per un totale di due milioni e 405.000 individui) si tratta di donne sole e nel 68,3% di over 75enni, per un totale di due milioni e 164.000 longevi con più di 75 anni che vivono soli: di questi 764.000 (il 24,1%) hanno più di 85 anni di età (tab.8). In altre parole, un anziano su quattro tra quelli che abitano da soli ha superato gli 85 anni.
Per questi single over 65 il potenziamento dei sistemi di relazione è fondamentale per evitare che la solitudine prevalga, lasciandoli da soli ad affrontare la quotidianità; e i media rappresentano un buon antidoto al superamento dei momenti di vuoto e di mancanza di qualcuno con cui parlare e confrontarsi.
Figli che faticano a lasciare i genitori
Sono passati dodici anni dalla celebre frase del Ministro Padoa Schioppa “Mandiamo i bamboccioni fuori di casa”, ma la situazione non sembra essere cambiata. In undici milioni e 351.000 famiglie italiane (il 46,7% del totale) convivono genitori e figli, e questi ultimi in due milioni e 643.000 casi (il 10,9% delle famiglie italiane) hanno più di 30 anni, per un totale di tre milioni e 89.000 figli over 30 che abitano con la famiglia di origine (fig. 1).
Colpa della crisi, della disoccupazione, dei costi troppo elevati degli alloggi? Naturalmente tutti questi fattori hanno un peso nel procrastinare il momento del distacco, ma i dati rivelano una situazione meno drammatica di quello che si potrebbe immaginare: infatti, il 63,1% degli over trentenni che rimangono in famiglia ad oltranza lavora, e la maggior parte appartiene a nuclei che si collocano in fasce socio-economiche elevate (43,9%) o medie (29,8%) (tabb. 9 e 10).
Questi dati testimoniano come in Italia il problema dei giovani non sia solo quello di trovare un lavoro, ma anche quello di riuscire a trovare un’occupazione che dia loro un reddito sufficiente per affrancarsi dalla famiglia di origine.
Le famiglie in cui si rimane a lungo sono più numerose della media Italia (hanno in media 3,1 componenti), si trovano soprattutto al Sud e nelle isole (40,5% del totale) e hanno un capofamiglia che nel 70% dei casi ha un titolo di studio che non supera la licenza di scuola media inferiore.
Per questi eterni giovani rimanere con la famiglia di origine significa assicurarsi il mantenimento di una situazione di relativo benessere piuttosto che andar via ed essere costretti a scendere di un gradino nella scala sociale dovendosi barcamenare tra affitti, mutui, lavoretti e incombenze domestiche.