La radio non si è fatta sorprendere dalla pandemia

Parlare di radio durante l’epidemia sanitaria non vuol dire lasciarsi andare alla frivolezza né dimenticare la drammaticità di quello che stiamo vivendo e di quello che ci aspetta, significa invece riconoscere ai media il ruolo centrale che hanno svolto e stanno svolgendo nel raccontare quello che sta accadendo in Italia e nelle comunità locali, nell’informare su quello che dobbiamo e possiamo fare, e insieme nell’offrire infinite possibilità di visioni e di ascolto, in diretta e on demand, in grado di soddisfare le esigenze di ognuno.

Di fronte alle restrizioni imposte dalla pandemia l’intero sistema dei media ha acquistato una nuova centralità e un valore sociale aumentato, rappresentando la certezza di quello che comunque rimane “aperto”, e che è andato a coprire i bisogni di informazione e di intrattenimento di fasce sempre più ampie di popolazione, sempre più deprivate della possibilità di uscire di casa e condurre una vita normale.

I dati Auditel attestano il successo dell’ascolto televisivo che nel 2020  è cresciuto di circa l’11% rispetto all’anno precedente, con picchi durante il  periodo di primo lockdown, quando l’ascolto medio per le tv nazionali è cresciuto del 37% rispetto allo stesso periodo del 2019.  Un aumento che trova un ulteriore riscontro nella crescita dei tempi medi di ascolto e nell’aumento dei contenuti video fruiti dalle diverse piattaforme digitali.

Diverso il discorso per la radio, che rischiava di essere fortemente penalizzata da un ascolto che oggi è precipuamente legato agli spostamenti in macchina, vietati durante il primo lockdown e fortemente limitati nel periodo successivo. Eppure, anche la radio ha tenuto e si è saputa reiventare, utilizzando tutte le possibilità di ascolto per raggiungere il pubblico, e mantendo pressochè stabile il numero di ascoltatori nel giorno medio.

In base ad una recente indagine del Censis risulta che durante il primo periodo di lockdown il 30,5% degli italiani si è aggiornato almeno una volta al giorno sulla pandemia e sulle regole da rispettare attraverso programmi radiofonici.

Al contempo, con l’obbligo di stare in casa sono anche emersi nuovi bisogni e abitudini di consumo, che si sono tradotti, ad esempio, nell’aumento del tempo di ascolto: secondo l’Istat il 30% dei radioascoltatori durante il periodo di isolamento domestico ha dedicato più tempo all’ascolto in casa rispetto al periodo pre Covid-19.

Ma soprattutto la blindatura in casa e la ridotta mobilità hanno accelerato il processo di modernizzazione verso la multicanalità che già si stava compiendo, segnando definitivamente il passaggio verso una fruizione dei contenuti radiofonici in modalità e su device diversi da quelli tradizionali.

I dati sull’ascolto medio giornaliero nel secondo semestre del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019 sono chiari: a fronte di un calo del numero di ascoltatori da autoradio, e di una sostanziale tenuta dell’apparecchio tradizionale, crescono tutti gli altri device, con una media che supera il +7%.

Si tratta di un trend che era già iniziato negli anni precedenti, e che prosegue nell’anno della pandemia.

Secondo i dati TER, gli spettatori dei canali televisi della radio in un giorno medio sono cresciuti dell’8,0% nel solo ultimo anno, e gli ascoltatori della radio via tv solo audio del 5,4%. In forte crescita anche gli ascoltatori da smartphone/cellulare (+8,1% rispetto al 2019), e quelli da tablet e computer.

È  la consacrazione della radiovisione, cui nel 2020 si sono avvicinati per la prima volta circa 5 milioni di italiani sfruttando la possibilità di fruire in contemporanea dei contenuti/programmi della diretta radiofonica in formato audio o video da tutte le piattaforme disponibili.

Dalla nostra indagine emerge con forza come la radio – pur mantenendo la propria identità di piacevole compagna di vita di milioni di persone – sia stata capace di modificarsi e di sintonizzarsi sui nuovi stili di vita e sulle nuove modalità di fruizione degli italiani. 

La radio del presente è continuità, nella sua capacità di mantenere la vocazione originaria dell’intrattenimento e del dialogo con il grande pubblico, ma è insieme modernità, nella sua capacità di ibridarsi con l’intero sistema dei media e di avere una forte interazione social con la propria comunità di riferimento. Una trasformazione che sembra essere stata colta dal pubblico dei radioascoltatori, che oggi sono più affezionati ai contenuti che all’apparecchio radio, e premiano con gli ascolti la radiovisione, ovvero la possibilità di usufruire della stessa programmazione radiofonica su device diversi, in luoghi diversi, in momenti della giornata diversi.

La radio è dunque su una frontiera molto avanzata di generazione di valore sociale soggettivo, perché è tecnologicamente capace di rigenerarsi e perché è dentro la vita degli italiani in modo più funzionale e utile di altre tecnologie nate dopo di essa.

Anche la transizione della radio verso la radiovisione sembra essere una realtà irreversibile, ed è perfettamente inscritta nel più generale passaggio del pubblico alla multicanalità, al punto che oggi accanto alla radio, alla televisione, al mondo digitale si può aggiungere un nuovo media che li contiene tutti e che si chiama radiovisione.

Sono quasi 26 milioni gli italiani che seguono la radio da piattaforme diverse da quella tradizionali, mentre circa 19 milioni seguono già, anche saltuariamente, i programmi in video. Si tratta di numeri che crescono e che sono destinati ad aumentare ancora, visto che la maggior parte degli italiani si aspetta che la radio del futuro sia anche visual.

La radiovisione non è dunque una moda estemporanea, né un espediente per fare audience anche durante la pandemia, ma rappresenta invece il futuro della radio, che ha subito un’accelerazione nel corso dell’ultimo anno, da cui però non si tornerà indietro.