Roma, 7 dicembre 2012 – Roma, 6 dicembre 2013 – Mix settoriali e nuove strategie: il tessuto produttivo oltre la crisi. Il confronto tra i dati degli ultimi due Censimenti dell’industria e dei servizi realizzati nel 2001 e nel 2011 evidenzia: la flessione del numero di imprese delle attività a supporto dell’agricoltura (-7.677), dell’industria in senso stretto (-95.388) e in particolare dei comparti manifatturieri (-105.088), del commercio (-36.703) e dei trasporti (-18.359); l’incremento delle imprese di costruzioni (+57.812), delle attività di ristorazione e alloggio (+57.527) e di quelle ricomprese nella branca molto estesa dei servizi (+388.615). L’effetto finale di questi movimenti è l’incremento del peso del terziario, sia in termini di unità produttive che di addetti, e di un parallelo ridimensionamento strutturale dell’industria, in particolare del manifatturiero.
Localismi produttivi nel cortocircuito della crescita. L’onda della ristrutturazione non ha risparmiato i distretti industriali, ridefinendone i contorni, mettendone in discussione l’organizzazione, imponendo nuovi equilibri nei rapporti tra impresa e comunità di riferimento. Tra il 2009 e il 2012, in un campione di 56 distretti industriali – da più lungo tempo presenti nel Paese –, il Censis ha stimato una flessione del numero di imprese collocate nelle singole filiere di specializzazione pari al 3,8%. Si tratta di quasi 2.000 unità produttive uscite dal mercato in un breve arco temporale. Questo ridimensionamento strutturale contrasta con la crescita sostenuta sui mercati esteri. Nella prima metà del 2013 le esportazioni di 150 distretti manifatturieri italiani sono cresciute del 3%, a fronte di una flessione dello 0,6% registrata dal resto del manifatturiero. Un panel analizzato dal Censis composto da 230 aziende di distretto lascia emergere una spinta vitale tutt’altro che sopita: il 78% ha tentato di realizzare nuove linee di prodotto, il 75% ha cercato di rendere più efficienti le procedure di lavoro, quasi il 69% ha ridefinito le politiche commerciali, il 65% ha migliorato o apportato modifiche agli impianti di produzione, quasi nel 58% dei casi sono state apportate modifiche ai vertici aziendali.
Un nuovo modello di sviluppo per il rilancio dell’agricoltura. Il sistema agricolo è il segmento essenziale di una filiera più ampia, quella agroalimentare, che comprende strutture di tipo industriale dedite alla lavorazione e alla trasformazione dei prodotti. Visto in quest’ottica, il valore dell’export è pari all’8% del totale delle vendite all’estero: il quinto comparto per presenza sui mercati esteri. A trainare le vendite all’estero sono 21 miliardi di euro provenienti dal made in Italy agroalimentare, ossia un paniere di 13 prodotti, sia freschi che trasformati, caratterizzati da forte tipicità, da un diretto legame con il territorio e per i quali l’Italia può godere di vantaggi competitivi legati all’ambiente, ai sistemi produttivi e alle tradizioni locali.
Meridione: problema irrisolto. L’incidenza del Pil del Mezzogiorno su quello nazionale è passata dal 24,3% al 23,4% nel periodo 2007-2012, frutto di una contrazione di 41 miliardi di euro, il 36% dei 113 miliardi persi dall’Italia a causa della crisi economica. Nel 2013 si contano 39.500 imprese in meno rispetto al 2009, tra cui 9.900 scomparse nel manifatturiero. Il tasso di occupazione è al 42,1% nel secondo trimestre del 2013, a fronte del 55,7% nazionale, e il tasso di disoccupazione sfiora il 20% (8 punti in più rispetto alla media del Paese). La ricchezza pro-capite è pari al 57% di quella del Centro-Nord e le famiglie materialmente povere (cioè con difficoltà oggettive ad affrontare spese essenziali o impossibilitate ad affrontare tali spese per mancanza di denaro) è pari al 26% di quelle residenti nel Mezzogiorno, a fronte di una media nazionale del 15,7%. L’Italia appare tra i sistemi dell’eurozona quello in cui più rilevanti sono le disuguaglianze territoriali. In termini di Pil pro-capite il Centro-Nord, con 31.124 euro per abitante, è vicino ai valori dei Paesi più ricchi come la Germania, dove il Pil pro-capite è di 31.703 euro. Viceversa, i livelli del Mezzogiorno sono più vicini o inferiori a quelli della Grecia (il Sud ha meno di 18.000 euro per abitanti e la Grecia registra 18.500 euro di Pil pro-capite).
Il welfare aziendale per la crescita del sistema d’impresa. Uno dei punti di debolezza del Paese è senza dubbio la bassa produttività del lavoro. In Italia ogni unità di lavoro produce in media 32 euro per ogni ora lavorata, cifra poco superiore al sistema produttivo spagnolo (31,5), sostanzialmente equivalente alla media comunitaria, ma ben distante dai principali Paesi dell’Unione europea; in particolare, risulta consistente il distacco rispetto ai 45,4 euro della Francia, ai 42,6 della Germania e ai 39,3 del Regno Unito. Nelle determinanti dell’aspetto motivazionale va certamente incluso il grado di soddisfazione per l’ambiente in cui si opera, fattore a cui può contribuire positivamente il welfare aziendale (o company welfare), ossia quell’insieme di servizi e iniziative che le imprese realizzano a favore dei propri dipendenti per assicurarne il benessere all’interno della struttura produttiva e nella loro vita privata, iniziative che assumono un’importanza crescente anche a causa delle criticità del sistema di welfare statale.
Quei trend di consumo che parlano di un Paese smarrito. I consumi descrivono un Paese sotto sforzo, profondamente fiaccato da una crisi persistente. Dai primi anni 2000 a oggi sono diminuite del 6,7% le spese per prodotti alimentari, del 15% quelle per abbigliamento e calzature, dell’8% quelle per l’arredamento e per la manutenzione della casa, del 19% quelle per i trasporti. Viceversa sono cresciute alcune spese incomprimibili, come quelle per le utenze domestiche e la manutenzione della casa (+6,3%) e quelle medico-sanitarie (+19%). Nell’ultima parte del 2013 ben il 69% di un campione di 1.200 famiglie analizzate dal Censis e Confcommercio ha indicato una riduzione e un peggioramento della capacità di spesa nel corso dell’anno, appena il 2% ha indicato un miglioramento. L’incertezza assume spesso la forma della preoccupazione e dell’inquietudine: il 52% delle famiglie sente di avere difficoltà a preservare i propri risparmi, quasi il 50% teme di non riuscire a mantenere il proprio tenore di vita. In questo contesto, quasi il 50% prevede di moderare e di contenere, nei prossimi mesi, le spese familiari.
6 Dicembre 2013