Roma, 4 dicembre 2020 – La compressione dei consumi: prudenza e paura spengono il desiderio. Nel secondo trimestre dell’anno la riduzione della spesa media mensile per consumi è stata del 19,1% rispetto alla fine del 2019. Al netto della spesa alimentare e abitativa, il crollo è stato ben maggiore. Nel confronto destagionalizzato tra il quarto trimestre 2019 e il secondo trimestre 2020 il consumo si è ridotto di quasi 20 miliardi di euro per i servizi e di 10,5 miliardi per i beni. I comportamenti delle famiglie sono improntati alla prudenza, che si somma alla storica stagnazione dei consumi. Il tasso medio annuo di crescita reale si è progressivamente ridotto: dal +3,9% degli anni ’70 al +2,5% degli anni ’80, al +1,7% degli anni ’90, al +0,2% degli anni 2000. Una indagine del Censis realizzata nel mese di maggio ha registrato però un decollo degli acquisti online. Più di due terzi degli italiani maggiorenni hanno praticato l’e-commerce e il 25,9% ha aumentato l’uso della rete a questo scopo. Incrementi di utilizzo consistenti si registrano per la spesa quotidiana a distanza (+14,8%) e per i servizi di food delivery (+10,9%).
L’economia circolare di fronte alla pandemia: rischi e opportunità. Il 13,4% delle imprese manifatturiere ha effettuato investimenti nei processi dell’economia circolare. La percentuale aumenta al 26,5% tra le grandi aziende (quelle con più di 250 addetti) e si riduce drasticamente nel segmento delle piccole e medie imprese (il 4,3% e il 7,1% rispettivamente). Un numero elevato di imprese (il 52,8%) ha comunque adottato soluzioni volte a ridurre il consumo di materiali nei processi produttivi. Questo è uno degli aspetti caratterizzanti la via italiana all’economia circolare. Ma solo l’8,1% delle aziende è intervenuto con soluzioni di riutilizzo e riciclo delle acque di scarico (il 26,3% tra le più grandi e il 7,3% tra le piccolissime). Un vero e proprio ripensamento del modello produttivo con finalità ambientali è praticato dal 13,7% delle imprese (il 28,1% tra le grandi).
Il contributo inevitabile del settore Oil & gas alla transizione energetica e ambientale del Paese. Il crollo dei consumi energetici durante il lockdown ha inferto un colpo all’industria energetica del Paese, arrivato in un momento di incertezza generale per la spinta verso la de-carbonizzazione e le difficoltà congiunturali legate all’andamento del prezzo delle fonti fossili. Nel nuovo scenario post-pandemico la de-carbonizzazione riceverà nuovi stimoli. Alle aziende che operano nel settore Oil & gas il compito di progettare e adottare tecnologie e soluzioni che consentano di ridurre l’impronta carbonica complessiva agendo sui loro cicli produttivi e sui prodotti energetici che realizzano e distribuiscono. La riduzione delle emissioni di gas serra dovrebbe prevedere un approccio integrato basato anche sulla promozione di sinergie tra i settori industriali. Occorreranno investimenti in ricerca, tecnologia, logistica e il reclutamento di competenze adeguate.
Il paradosso della povertà energetica. L’emergenza sanitaria e il forzato confinamento domestico hanno riacceso i riflettori sulla questione abitativa e sui relativi divari sociali. La «povertà energetica» riguarda le famiglie con difficoltà nell’accesso ai principali servizi energetici: il riscaldamento dell’abitazione, la cottura dei cibi e la loro corretta conservazione, l’illuminazione. Nel 2018 795.566 famiglie sono state destinatarie del bonus per disagio economico elettrico, 519.375 del bonus gas, 35.903 hanno ottenuto il bonus elettrico per disagio fisico. Nel tempo si osserva una significativa contrazione del numero di famiglie in arretrato nel pagamento delle utenze domestiche (il 4,5%), ma anche un progressivo aumento delle famiglie in difficoltà nel riscaldamento della casa (dall’11,4% nel 2008 al 14,1% nel 2018). La politica di sostegno al reddito attraverso un contributo diretto alla bolletta del gas e dell’energia elettrica produce risultati, ma questi non sono direttamente correlati a un effettivo miglioramento delle condizioni di disagio sociale. Servirebbero incentivi per i proprietari per investire sull’efficientamento energetico anche delle abitazioni concesse in locazione.
Il digitale italiano: siamo davvero gli ultimi in Europa? Nell’ultima edizione del Desi (Digital Economy and Society Index) l’Italia si posiziona al 25° posto in Europa a causa soprattutto della pessima performance nell’indicatore relativo alle competenze digitali (siamo all’ultimo posto). Però nel periodo del lockdown gli italiani che hanno iniziato a utilizzare alcuni dei principali servizi online sono il 6,4% della popolazione adulta nel caso delle videochiamate, per mantenere i contatti lavorativi, familiari e affettivi bruscamente interrotti. Il 25,8% ha aumentato l’uso delle principali piattaforme di e-commerce. L’area critica è costituita dal 19,7% che ha avuto un costante bisogno di aiuto o che ha dovuto ricorrere a qualcuno che li sostituisse alla testiera. Il 73,3% ha fatto fronte alle nuove esigenze grazie alle competenze che già possedeva, cercando di abituarsi ai diversi ritmi e alle mutate modalità di utilizzo della rete. Il 6,2% ha dovuto attivarsi per colmare le lacune in modo da avere le competenze minime necessarie di fonte alle nuove esigenze. Il 3,6% si è reso conto della propria impreparazione, ma ha rinviato al periodo post-emergenziale l’impegno formativo, accettando nell’immediato rinunce e limitazioni. Per il 5,6% la mancanza di competenze digitali ha limitato pesantemente la capacità di lavorare e di rimanere in relazione con gli altri.
4 Dicembre 2020