Roma, 4 dicembre 2020 – La scuola dalla Dad alla Ddi, guardando al dopo emergenza. Di fronte all’emergenza, solo pochissimi istituti scolastici hanno scoperto di essere attrezzati per rispondere alla domanda di didattica a distanza. L’82,1% dei 2.812 dirigenti scolastici intervistati dal Censis ad aprile afferma che le differenti dotazioni tecnologiche e la diversa familiarità d’uso sono stati un ostacolo sia tra i docenti che tra gli studenti. Per il 74,8% dei dirigenti la didattica a distanza ha di fatto ampliato il gap di apprendimento tra gli studenti. Per l’85,4% c’è stato un maggiore impegno dei genitori, soprattutto per gli alunni delle scuole del primo ciclo (94,4%), meno alle superiori (67,6%). Si è proceduto in ordine sparso: lo pensa il 61,1% dei dirigenti. Ma il 95,9% è molto o abbastanza d’accordo sul fatto che la Dad è stata una sperimentazione utile l’insegnamento. Secondo l’84,3% in futuro vi si ricorrerà più spesso, in modo integrato con le attività in aula.
Iefp e Covid-19: cosa è successo nei centri di formazione professionale. Sono oltre 300.000 i ragazzi che ogni anno frequentano, in alternativa alla scuola secondaria di secondo grado, percorsi triennali o quadriennali di istruzione e formazione professionale (Iefp) per acquisire una qualifica o un diploma professionale. Una indagine del Censis, che ha coinvolto un panel di 115 centri di formazione professionale, evidenzia come la maggioranza di questi centri sia riuscita a elaborare rapidamente una proposta alternativa in modalità Fad: il 71,4% entro al massimo due settimane e solo nel 6,3% tutte le attività formative si sono interrotte durante il lockdown. Nonostante la pronta risposta, le criticità organizzative ci sono state e il 72,1% degli intervistati lamenta l’assenza di una regia unitaria a livello nazionale. Solo il 36,7% delle strutture era già attrezzato per la Fad, almeno dal punto di vista tecnologico, ma solo l’8% l’aveva già utilizzata.
L’università ai tempi del Covid-19. Anche le università hanno dovuto contrastare la pandemia riorganizzando la didattica. Le informazioni raccolte attraverso una indagine del Censis sui rettori svolta nel mese di maggio restituiscono l’immagine di un sistema reattivo. Sui 61 atenei rispondenti, 42 avevano completato il passaggio alla didattica a distanza entro una settimana dal lockdown, i rimanenti per lo più in due settimane. Per circa la metà dei rettori la combinazione di una preesistente infrastruttura tecnologica con la disponibilità di adeguate expertise all’interno dell’ateneo ha bilanciato gli insufficienti finanziamenti pubblici necessari per gli adeguamenti organizzativi.
Il supporto del terzo settore nella fase dell’emergenza educativa. Nel 2018 erano attivi più di 359.000 enti non profit (+6,9% rispetto al 2015), che impiegavano poco meno di 844.000 dipendenti. Da una rilevazione del Censis risulta che il 41,1% degli enti ha attivato ex novo servizi territoriali a favore della popolazione per arginare le nuove povertà originate o acuite dalla crisi. Per gli enti del terzo settore che hanno l’istruzione e l’educazione all’interno della propria mission, l’ascolto telefonico e la distribuzione di alimenti alle fasce deboli della popolazione hanno rappresentato rispettivamente il 20,3% e il 10,6% della loro nuova offerta, mentre i servizi di supporto alla didattica online e di sostegno alla socialità dei minori hanno ne hanno rappresentato rispettivamente il 31,5% e il 19%. A queste si aggiungono nuove attività per il contrasto della povertà educativa di minori e adulti: l’offerta di attività artistiche e culturali online (il 25,2% della nuova offerta), la distribuzione di device elettronici e multimediali, fondamentali per l’erogazione della didattica a distanza (14,5%). Per gli enti che svolgevano attività educative prima della crisi, gli alunni delle scuole primarie e secondarie sono stati l’utenza di riferimento del 76,2% della nuova offerta messa in campo e i bambini da 0 a 6 anni il 49%, a fianco delle persone in difficoltà economiche (55%).
Più informazione e formazione per affermare la centralità delle competenze digitali. Nel 2019 la quota di italiani di 14-74 anni con un livello di competenze digitali di base o superiori era pari al 42%, un valore inferiore di 14 punti rispetto alla media europea (56%) e molto distante da Paesi Bassi (79%), Finlandia (76%) e Svezia (72%). Dopo l’Italia si collocano, in penultima e ultima posizione, Romania (31%) e Bulgaria (29%). Gli analfabeti digitali sono più presenti nelle classi di età più elevate (il 14% tra i 65-74enni e il 30% tra i 55-64enni), meno tra le nuove generazioni (il 65% dei 16-24enni possiede adeguate competenze digitali). Solo il 18% delle persone con un basso livello di istruzione è digitalmente competente. Tra le barriere al miglioramento delle proprie competenze vi sono la carenza di opportunità formative (30%), la mancanza di tempo (27%), il costo (20%). Ma il 24% degli italiani non sente il bisogno di migliorare le proprie competenze.
4 Dicembre 2020