Comunicati Stampa

Il capitolo «Processi formativi» del 47° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2013

Roma, 6 dicembre 2013 – Il ruolo strategico dell’istruzione degli adulti. Il 21,7% della popolazione italiana con più di 15 anni ancora oggi possiede al massimo la licenza elementare. Per quanto si tratti di un fenomeno concentrato nelle fasce d’età più anziane, un campanello d’allarme squilla per il 2% di 15-19enni, l’1,5% di 20-24enni, il 2,4% di 25-29enni e il 7,7% di 30-59enni che non hanno mai conseguito un titolo di scuola secondaria di primo grado. E anche per quel 56,2% di ultrasessantenni senza licenza media (23% tra gli occupati) i vantaggi di un “ritorno a scuola” sarebbero indiscutibili per il rafforzamento del loro kit di strumenti utili ad affrontare le sfide della complessità sociale. Inoltre, si è fermato alla licenza media il 43,1% dei 25-64enni. Il circuito vizioso tra bassi titoli di studio, problemi occupazionali e scarsa propensione all’ulteriore formazione è, infine, testimoniato: dalla significativa incidenza tra i giovani Neet di individui con al massimo la licenza media (43,7%); dalla marginale partecipazione complessiva della popolazione adulta ad attività formative, se in possesso della sola licenza elementare (0,8% del totale) o diploma di scuola secondaria di primo grado (1,9%).

Aggredire la dispersione includendo il territorio. Nel nostro Paese la quota di early school leavers, seppure in tendenziale diminuzione, continua a essere significativa e in alcune aree geografiche pericolosamente endemica. Se nel 2012 la popolazione di 18-24 anni con al più la licenza media che non frequentava altri corsi scolastici o attività formative superiori ai due anni era pari al 17,6%, in alcune aree del Paese restava al di sopra della soglia del 20%: ad esempio nel complesso delle regioni meridionali (21,1%). Lo scenario nazionale è distante non solo da quello medio europeo (12,8%), ma soprattutto dall’obiettivo fissato da Europa 2020, secondo il quale i giovani che abbandonano precocemente gli studi non dovranno superare la soglia del 10%. In Italia nel 2011 alla fine del primo anno aveva abbandonato gli studi l’11,4% degli studenti iscritti. Lo stesso indicatore nelle regioni del Nord e del Centro era rispettivamente 10,4% e 10,3%, mentre i tassi di abbandono erano del 13% nel Mezzogiorno nel complesso e del 14,9% nelle sole isole.

L’integrazione scolastica degli alunni disabili: un processo sinergico. I dati sulla distribuzione nell’anno scolastico 2013-2014 dei 207.244 alunni disabili, pari al 2,6% del totale degli alunni iscritti, attestano una loro maggiore presenza nella ripartizione settentrionale del Paese, dove si concentra il 38% del totale, seguita dal Sud e isole (35,6%) e infine dal Centro, dove la percentuale è del 19,9%. La periodica rilevazione del Censis sui dirigenti scolastici, che quest’anno ne ha coinvolti 2.178, evidenzia che il 47,1% ha dichiarato che nel proprio istituto l’integrazione degli alunni con disabilità non è un problema, mentre per il 29,3% è un problema in via di risoluzione. Tuttavia, ancora per quasi un dirigente su quattro (23,6%) tale processo resta un problema di difficile soluzione. I principali problemi sono: l’insufficiente numero di insegnanti per le attività di sostegno rispetto alla numerosità dell’utenza (70,6%), la difficoltà nella gestione dei rapporti con gli altri soggetti coinvolti nel processo di inserimento – servizi socio-sanitari, enti locali, altre scuole/enti formativi, ecc. – (39,9%) e la inadeguata specializzazione dei docenti di sostegno rispetto alle specifiche disabilità (26,5%). 

Il sistema di istruzione e formazione professionale di fronte alla sfida della sussidiarietà. I percorsi triennali d’istruzione e formazione professionale costituiscono ormai una scelta concreta e sempre più perseguita al termine della scuola secondaria di primo grado. Degli appena 23.563 allievi dei primi corsi si è giunti ai 241.620 dell’anno formativo 2011/2012. Secondo l’indagine del Censis, numerose e diversificate sono le azioni intraprese dagli istituti professionali per incrementare il successo formativo degli iscritti ai percorsi triennali. Le azioni più diffuse sono quelle finalizzate a garantire il raccordo tra studio e lavoro, in primo luogo l’attivazione di stage (74,3%) o di percorsi in alternanza scuola/lavoro (72,9%). Un analogo livello di diffusione (72,2%) sembra caratterizzare la realizzazione di una didattica laboratoriale, seguita dalle attività di raccordo tra le competenze di base e le competenze professionalizzanti (64,6%).

L’università italiana: un sistema squilibrato territorialmente e con scarsa capacità di globalizzazione. Le università italiane stentano a collocarsi all’interno delle reti internazionali di ricerca. Secondo l’indagine del Censis sui rettori italiani, tra i fattori più efficaci per accrescere la competitività dei loro atenei c’è al primo posto il miglioramento della qualità dei servizi e delle strutture di supporto alla didattica (73,8%), poi lo sviluppo di collaborazioni internazionali nelle attività di ricerca (54,8%), lo sviluppo di percorsi di laurea a doppio titolo/titolo aggiunto con atenei stranieri (52,4%), le ricerche di grande rilevanza scientifica (40,5%) e l’incremento del numero di laureati in corso (38,1%). Le criticità esistenti sono aggravate dal divario territoriale tra Nord e Sud del Paese. Nel decennio 2002-2012 l’indice regionale di attrattività delle università passa nel Mezzogiorno da -20,7% a -28,3%, incrementandosi negativamente di oltre 7 punti percentuali. Nelle regioni insulari l’indice precipita da -10,1% nel 2002 a -26,2% nel 2012.

 

6 Dicembre 2013