I pazienti affetti da cefalea a grappolo

Un ulteriore focus di interesse dello studio è rappresentato dall’indagine svolta su un campione di pazienti affetti da cefalea a grappolo diagnosticata.  L’approfondimento consente non solo di gettare la luce su una condizione di malattia decisamente poco conosciuta e raccontata, ma garantisce la possibilità di allargare la dimensione dell’analisi svolta, così da poter offrire un quadro ancor più puntuale rispetto all’universo che circonda coloro che soffrono di cefalee primarie.

Il profilo socio demografico dei pazienti

Tra questi pazienti la quota di uomini è pari al 38,8%, mentre il 61,2% sono donne. L’articolazione degli intervistati secondo la variabile anagrafica evidenzia una maggiore presenza degli under 44 che costituiscono il 55,1% del totale (22,5% in età compresa tra i 18 e i 34 anni e il 32,6% tra i 35 e i 44anni), cui seguono i 45-54enni (27,9%), mentre è pari al 17,1% la quota dei 55-65enni. Anche in questo caso prevalgono i coniugati/conviventi (69,8%), seguiti dai celibi/nubili (21,4%). Gli intervistati sottolineano di possedere un livello di istruzione abbastanza elevato: è consistente la presenza di diplomati di scuola media superiore (53,1%), mentre i laureati sono il 31,3% del totale. Gli occupati rappresentano complessivamente il 68,8% dei rispondenti, un dato lievemente inferiore a quanto rilevato per gli emicranici.

In relazione alle caratteristiche della propria malattia, nel campione prevalgono i rispondenti affetti da cefalea a grappolo episodica (67,4%) mentre soffre della tipologia cronica il 32,6% del totale. L’incrocio secondo le variabili strutturali vede una maggiore diffusione della cefalea a grappolo in forma cronica tra gli uomini (38,0% contro il 29,1% femminile) e tra i 45-54enni (38,9%) mentre la variante episodica interessa oltre il 70% delle donne intervistate ed è lievemente più segnalata tra i più giovani.

Il percorso per l’ottenimento della diagnosi

I tempi di riconoscimento e diagnosi della cefalea a grappolo, sebbene lievemente più rapidi rispetto a quelli dei malati affetti da emicrania, risultano comunque complessivamente piuttosto lenti e ricalcano pattern di comportamento che sembrano essere condivisi dai malati di entrambe le patologie.

In relazione alle caratteristiche di esordio della cefalea a grappolo, il campione degli intervistati fissa in prevalenza (74,5%) sotto i 31 anni l’insorgenza dei primi sintomi della malattia: nello specifico, il 29,5% prima dei 18 anni e il 45% tra i 18 ed i 30 anni, per un’età media di comparsa della patologia pari a 25 anni. Tra coloro che sono affetti dalla tipologia cronica è più frequente l’esordio precoce (il 38,1% lo segnala prima dei 18 anni).

Il ricorso al medico è per la metà del campione abbastanza celere: oltre il 50% ha consultato un professionista entro 6 mesi dalla prima manifestazione della patologia ed il 71,1% entro l’anno. Si è trattato prevalentemente del MMG (49,6%). Il 39,6% si è rivolto al contrario direttamente agli specialisti (il 30% circa indica specificamente il neurologo) e l’8,5% ad un Centro specializzato. Sono di nuovo piuttosto elevate le percentuali di intervistati che segnalano difficoltà nel ricevere la diagnosi: il 66,3% di quanti si sono rivolti al MMG in prima istanza, il 59,5% di chi ha consultato gli specialisti pubblici e il 43,7% di chi è andato dai privati. Più bassa la quota di chi evidenzia problemi tra coloro che si sono recati già in prima battuta presso i Centri specializzati pari al 21,8%.

Sottovalutazione dei sintomi (43,0%), ampio ricorso ad accertamenti diagnostici infruttuosi (40,5%), problematicità nell’individuazione del Centro/specialista più adatto (26,6%), prescrizione di una terapia aspecifica a base di farmaci antidolorifici (29,1%) sono le difficoltà più segnalate.

L’ottenimento della diagnosi ha rappresentato per molti, dunque, un percorso faticoso. È  , infatti, solo il 32% ad averla ricevuta dallo stesso medico che ha interpellato alla comparsa dei sintomi, e sono gli specialisti ad aver effettuato la diagnosi di cefalea a grappolo in misura maggiore (57,8% dei casi, con il 42,2% di pazienti che specifica si tratta di neurologi), seguono i Centri specializzati indicati dal 28,1% del campione. Anche nel caso dei pazienti affetti da cefalea a grappolo la diagnosi ha richiesto tempi lunghi: è stata raggiunta in media dopo circa 6 anni dall’insorgenza dei primi sintomi, per un’età media all’accertamento della malattia pari a quasi 31 anni.

L’informazione sulla patologia

Tra i cefalalgici a grappolo si misurano alti livelli di autovalutazione del proprio bagaglio informativo concernente la patologia che li affligge: l’83,7% si ritiene soddisfatto (il 31,8% molto e il 51,9% abbastanza) delle proprie conoscenze, un valore che cresce al salire del livello di istruzione. È  naturalmente ancora più strategico per malati di una patologia, pressoché sconosciuta presso l’opinione pubblica, adoperarsi per acquisire un corpus di informazioni in grado di consentigli una gestione più consapevole del proprio disturbo. Un lavoro di accumulazione ottenuto per un’ampia maggioranza del campione attraverso la mediazione di fonti qualificate: in primis grazie allo scambio e alla relazione instaurata con i professionisti sanitari (79,7%). A grande distanza tra le fonti più consultate si pongono internet e i social network (33,6%), mentre residuali sono le citazioni riservate ai media tradizionali (7,8%) ed al circuito familiare amicale (5,5%).

Nel complesso questi pazienti appaiono tendenzialmente più soddisfatti delle informazioni ottenute, con il 58,1% che afferma di avere avuto tutte quelle necessarie, e denotano meno dubbi sulla qualità degli input ricevuti, sebbene il 38,8% vorrebbe comunque averne di più.

Anche nel caso di pazienti che soffrono di cefalea a grappolo, tuttavia, i contenuti della informazione possono risultare insufficienti. In merito alla definizione della patologia da cui sono affetti, il campione risulta diviso tra un 50% che considera la cefalea a grappolo come una malattia dipendente da una disfunzione biologica del sistema nervoso, e tra un’altra metà che la ritiene un sintomo di altre patologie, anche se è vero che la quota di pazienti consapevoli di aver a che fare con una patologia è più elevata rispetto a quanto rilevato tra gli emicranici (36,0%) (fig. 5).

Le terapie per la cefalea a grappolo

L’analisi delle terapie sintomatiche di contrasto agli attacchi nei periodi attivi della malattia utilizzate dai pazienti con cefalea a grappolo mette in luce che circa il 70% del campione fa ricorso a farmaci analgesici soggetti a prescrizione, in maggioranza (49,6%) triptani. Il 19,7% dichiara di assumere farmaci da banco, il 39,3% si sottopone ad ossigenoterapia. L’adesione alle terapie di profilassi per la cefalea a grappolo riguarda, invece, il 57,6% del campione (tab. 8).

Nel caso dei pazienti con cefalea a grappolo è maggiore la quota di chi ottiene a titolo gratuito i farmaci soggetti a prescrizione che utilizza attualmente (28,6%), poco più bassa (38,1%), rispetto ai malati di emicrania, la percentuale di chi paga il ticket o li compra a prezzo intero (32,5%).

Oltre il 30% degli intervistati, ed in misura maggiore i cronici (42,9%), segnala di fare uso, a corredo della assunzione di farmaci, di integratori e vitamine, mentre controlla il proprio regime alimentare il 56,6% dei rispondenti.

In relazione alla valutazione dell’efficacia dei farmaci, così come osservato per i malati di emicrania, gli intervistati esprimono in maggioranza un giudizio abbastanza favorevole (63,8%), a cui si associa il 17,2% che li considera in maniera assolutamente positiva, ma sembra trattarsi di riconoscimenti che si limitano alla capacità dei medicinali di offrire un sollievo parziale e temporaneo dal dolore. Alla richiesta di motivare le proprie opinioni circa l’efficacia dei farmaci, gli intervistati dichiarano, nel 24,6% dei casi, come i medicinali assunti siano utili per il singolo episodio ma non diminuiscano gli attacchi e la loro gravità, il 23% invece sottolinea come riceva esclusivamente sollievo parziale dal dolore e dagli altri sintomi ed il 21,3% invece, pur ammettendo che al momento funzionano, mostra preoccupazione circa la loro capacità di contrastare alla lunga la malattia.

L’accesso ai servizi

Il ricorso ai Centri specializzati si rileva in misura maggiore tra pazienti con cefalea a grappolo (42,6%), rispetto a quanto registrato tra i pazienti emicranici (32,9%). In tal senso, la minore prevalenza della malattia nella popolazione e il conseguente inferiore livello di diffusione delle conoscenze al riguardo, sembrerebbero rendere ancora più stringente per i pazienti la necessità di impostare una relazione con i presidi a più alta specializzazione, che rappresentano anche il punto di riferimento per le cure per una quota più ampia (23,4%), rispetto a quanto osservato per i pazienti affetti da emicrania (15,4%). Nella scelta della selezione del professionista di riferimento per la cura della malattia, il resto del campione dei cefalalgici a grappolo si distribuisce come segue: il 25% indica il ricorso al MMG, e il 45,3% agli specialisti. Nello specifico, il 21,1% si avvale degli specialisti pubblici (nel 18% dei casi costituiti da neurologi), mentre il 24,2% di quelli che esercitano privatamente (neurologi nel 20,3% dei casi).

Si tratta di una situazione che appare in qualche modo legata anche alla configurazione della offerta: nelle regioni meridionali il ricorso allo specialista (pubblico/privato) o ai Centri, quale punto di riferimento, è sensibilmente inferiore rispetto a quanto misurato nelle altre aree del Paese (complessivamente è il 54% dei malati del Sud ad essere seguito da un medico specializzato o da un Centro a fronte del 75% circa del Nord e del Centro), mentre cresce l’accesso ai MMG (40,5% contro il 24% del Nord e il 12,5% del Centro).

Vivere con la cefalea a grappolo

I pazienti inclusi nello studio hanno fornito le principali caratteristiche della cefalea a grappolo di cui soffrono sia in merito alla frequenza di insorgenza degli attacchi, sia rispetto alla loro durata media. In relazione al ritmo di comparsa delle crisi, i dati mettono in luce un valore mediano di 31 attacchi nel corso dell’anno e per essi, qualora non debitamente trattati, i pazienti indicano in maggioranza (55,8%) un tempo medio di durata compresa tra i 60 minuti e le tre ore.

Inoltre, il 41,9% dei pazienti intervistati afferma di aver avuto più di 6 giorni di mal di testa nei 30 giorni che hanno preceduto la partecipazione allo studio.

Di nuovo è il dolore il sintomo più citato ed invalidante (87,6% del campione). Seguono l’ammissione di essere vittima di stanchezza/mancanza di energia (38%) e di provare difficoltà nello svolgimento delle attività che prevedono sforzo fisico (29,5%). Minoritaria, ma comunque rilevante, è la quota di quanti sottolineano, invece, la perdita del sonno (31%). Il peggioramento del proprio benessere fisico contagia la capacità di tenere in piedi l’intera architettura di vita dei malati. Ne offre testimonianza, infatti, il numero rilevante di intervistati che denuncia problemi nella sfera lavorativa (34,9%), criticità nello svolgimento dei compiti familiari/domestici (28,7%) e nell’accudimento dei figli (18,6%), nonché la riduzione delle proprie occasioni di svago e di attività sociale (27,9%).

L’impatto sul lavoro e sullo studio e gli oneri psicologici

Il 23,4% del campione dei cefalalgici testimonia di aver subito modifiche sostanziali della propria vita lavorativa derivanti dal sopraggiungere della malattia. Si tratta di mutamenti che si sono tradotti, per coloro che ne hanno fatto esperienza, soprattutto nella necessità di riduzione parziale (43,3%) o di cambiamento del lavoro (26,7%). Meno citate le esperienze di compromissione del percorso di studio 12,7% (il 40% dei quali segnala però di aver dovuto interrompere la carriera scolastica).

Così come riscontrato anche per gli intervistati affetti da emicrania, le conseguenze sul piano psicologico della cefalea a grappolo sono ingenti e segnano profondamente lo stato d’animo dei pazienti che in larghissima maggioranza denunciano la sottovalutazione sociale della patologia (fig. 6).

L’assistenza e il giudizio sul sistema dell’offerta

Il soggetto centrale dell’assistenza è rappresentato dalla famiglia: il 64,3% del campione riceve dai membri del proprio nucleo supporto durante le crisi ed a fronte del ruolo residuale di altri soggetti (3,9% personale a pagamento), il 35,7% dei pazienti non riceve alcun aiuto. Eppure, gli effetti prodotti dalla patologia sono molteplici e pervasivi ed il panorama delle difficoltà incontrate dai malati sintetizza in maniera stringente la complessità del loro vivere quotidiano:

- il 56,7% patisce la difficoltà a far comprendere agli altri la gravità della propria condizione;

- il 48% manifesta problemi di accettazione della propria situazione;

- il 48% percepisce i limiti posti alla propria attività lavorativa;

- il 36,2% vede intaccata la propria possibilità di godersi il tempo libero ed il 22,8% trova ostacoli nel mantenere vivi i propri rapporti sociali e le amicizie;

- il 13,4%, infine, avverte il peggioramento dei rapporti all’interno del proprio nucleo familiare.

Ancora più negativi dei pazienti con emicrania, i giudizi in relazione alla capacità del sistema di cura ed assistenza pubblica di incontrare i fabbisogni dei malati di cefalea a grappolo. Le valutazioni espresse dal campione sono in maggioranza connotate da insoddisfazione (58,1%), mentre tra quanti conservano un giudizio favorevole sono prevalenti le esternazioni espresse con moderazione (38,8% abbastanza positivo). Più elevati tassi di scontentezza si rilevano tra i malati del Sud e delle Isole, che scontano in misura maggiore i disservizi dell’offerta.

Anche in questo caso è di estremo interesse la graduatoria delle carenze nei confronti delle quali con più urgenza è necessario porre rimedio:

- il 61,2% ritiene ineludibile accrescere la formazione dei medici sulla patologia;

- il 58,1% conviene sulla necessità di rivedere le procedure per il riconoscimento dell’invalidità;

- il 47,3% desidera rendere più capillare la diffusione dei Centri e degli specialisti;

- il 31% richiede di elevare diffusione e qualità delle informazioni circolanti sulla patologia;

- 28,7% vorrebbe fosse migliorata l’efficacia dei farmaci.

Emerge, ancora una volta, il problema della informazione sulla patologia ed in questo caso è messa ancor più in evidenza la necessità di un miglioramento anche dei livelli di conoscenza tra gli stessi professionisti sanitari, collegata alla necessità di migliorare le risposte specifiche su una patologia meno presente in termini epidemiologici, ma davvero fortemente condizionante e di nuovo ampiamente misconosciuta.