Il percorso di riconoscimento e diagnosi della emicrania è risultato per larghe quote dei malati piuttosto lungo e difficoltoso. A complicare il processo di emersione della patologia concorrono diversi fattori, spesso interconnessi tra loro, tra i quali un posto di preminenza sembra essere occupato dalle caratteristiche di esordio della malattia.
I dati che emergono dalla rilevazione confermano come l’insorgenza dell’emicrania sia avvenuta per buona parte degli intervistati in epoca giovanile: l’età media all’insorgenza dei primi sintomi è di 22 anni. In particolare, il 39,1% (un valore che tra gli affetti da emicrania cronica raggiunge il 45,5%) colloca le prime avvisaglie della patologia prima dei 18 anni, il 38,4% tra i 18 ed i 30 anni, ed il 22,5% dopo i 30 anni (tab. 2).
L’esordio precoce appare più frequente tra le donne: il 42,1% data la comparsa dei sintomi prima dei 18 anni, laddove tra gli uomini tale percentuale scende al 26,0% (tab. 3).
Nel percorso di riconoscimento della patologia il ricorso al medico non sempre è immediato: sebbene per la maggioranza sia avvenuto con una certa celerità (inferiore o pari all’anno), permangano ampie quote di malati che al contrario hanno temporeggiato molto di più, tendendo a gestire autonomamente la malattia prima di rivolgersi ad un professionista sanitario: solo il 13,6% vi è andato non appena si sono palesati i sintomi, il 26,5% ha atteso al massimo 6 mesi ed il 18,8% ha aspettato tra i 6 e i 12 mesi dall’avvento del problema. Tempi più lunghi, superiori all’anno, sono stati necessari per il 41,1% dei pazienti e tra questi oltre il 20% ha aspettato 5 anni o più prima di chiedere aiuto ad un interlocutore qualificato ed iniziare le cure ad hoc. Un ritardo che ha probabilmente prodotto nei malati l’aggravamento del problema di salute.
La tendenza a ritardare il ricorso al medico risulta di nuovo maggiore tre le donne (solo il 55,9% entro l’anno contro il 73,2% degli uomini) e tra coloro che hanno avuto l’esordio dei sintomi prima dei 18 anni (41,2% contro la media del 58,9%).
Per coloro che hanno lasciato trascorrere almeno 12 mesi tra la comparsa dei sintomi e la richiesta di un consulto medico, sono state indagate le motivazioni sottese a tale scelta. Ne emerge un quadro nel quale è evidente come a generare ritardo sia stato, in primis, un diffuso deficit di informazione, che ha favorito la minimizzazione del problema e che è legato alla atavica difficoltà di associare al mal di testa un reale potenziale pericolo concreto per la salute.
L’equivoco, anche semantico, tra emicrania (un termine ampiamente abusato ed utilizzato troppo spesso impropriamente) e mal di testa, un sintomo quest’ultimo di cui fa esperienza la quasi totalità della popolazione, che viene individuato appartenente alla categoria dei disturbi abituali/familiari/temporanei ed in conseguenza di ciò viene trattato in autonomia, anche per lunghi periodi, genera un evidente differimento nella piena presa di consapevolezza della malattia e dell’adozione di azioni volte al suo contenimento.
Il 49,6% del campione conferma, infatti, come la lentezza nel rivolgersi al medico sia dovuta alla iniziale capacità di tenere sotto controllo il disturbo attraverso l’assunzione di farmaci da banco. Piuttosto diffuse sono inoltre le ammissioni di sottovalutazione del problema: il 36,7% confessa di aver derubricato il proprio “mal di testa” alla categoria dei disturbi che è “normale” avere di tanto in tanto, il 28,7% lo interpretava come problema passeggero e l’8% come fastidio lieve.
In prima istanza i pazienti si sono rivolti in maggioranza al Medico di Medicina Generale - MMG (53,2%), quindi a medici specialisti (35,6%, e tra questi il 23,9% specifica che si è trattato di neurologi), mentre solo il 10,6% si è recato direttamente ad un Centro specializzato per le cefalee/emicrania. Tra i cronici sono maggiori le indicazioni di riferimento diretto allo specialista pubblico (26,2%) ed ai Centri specializzati (12,3%) ed anche tra le donne è più frequente il ricorso al Centro specializzato (12,5% contro il 2,4% dei maschi).
Tuttavia, anche l’interlocuzione con il professionista a seguito dell’insorgenza dei primi sintomi non si è tradotta, per un numero consistente degli intervistati, in un percorso veloce e senza ostacoli verso il raggiungimento della diagnosi, che ha infatti richiesto tempo e pazienza e, in molti casi, la necessità di rivolgersi a più di un medico per ottenerla.
Naturalmente il percorso prescelto sembra influire sui tempi e l’efficacia della risposta: gli intervistati che si sono rivolti in prima istanza al MMG segnalano in misura maggiore difficoltà nell’ottenimento della certificazione della malattia (47,3%), laddove tale valore scende sensibilmente, rimanendo tuttavia significativo, anche in relazione agli specialisti pubblici (39,2%) e privati (25,2%) ed ai Centri specializzati (25,5%).
Tra le principali difficoltà incontrate dai pazienti al momento della diagnosi, figurano la sottovalutazione del disturbo e la somministrazione di una terapia non adeguata.
La complessità del percorso emerge anche dal dato che mette in luce la necessità di confronto con più professionisti: è il 41,4% del campione ad aver ricevuto la diagnosi dal primo medico presso cui si era recato al momento dell’insorgenza dei sintomi, mentre al contrario, nel 58,6% dei casi, si è dovuto riferire a più professionisti. La diagnosi è stata effettuata dal MMG nel 14,2% dei casi, dallo specialista nel 63,4% (ed il 44,5% dei rispondenti ha specificato che si è trattato di un neurologo) mentre il 21,5% dei pazienti ha ricevuto la diagnosi dal Centro.
Di fatto la complessità del percorso ha allontanato temporalmente la diagnosi che in media è avvenuta circa 7 anni dalla comparsa dei primi sintomi, per un’età media al riconoscimento della patologia pari a 29 anni.
Nonostante, quindi, quasi il 60% degli intervistati abbia attivato il ricorso al medico nel corso dei 12 mesi successivi alla prima comparsa del disturbo, la risposta da parte dei servizi ha tardato ad arrivare. Appena il 28,5% dei rispondenti ha, infatti, ricevuto la propria diagnosi nell’arco del primo anno dall’insorgenza dei sintomi, mentre, al contrario, l’allungamento dei tempi è patrimonio dell’esperienza della maggioranza: il 30,5% ha visto trascorrere tra i 2 e i 5 anni, il 17,6% tra i 6 e i 10 anni ed il 23,4% addirittura più di dieci anni prima di riuscire a vedere identificata e certificata la propria malattia.
Sono i pazienti con emicrania cronica a far registrare le attese più lunghe, quasi il 50% di questa tipologia di malati ha dovuto aspettare oltre 6 anni prima di ottenere una risposta certa in merito al proprio disturbo, e nella dilatazione dei tempi si trova spesso la ragione dell’aggravamento della patologia di cui soffrono.