La terapia
Il quadro che emerge in relazione alla diffusione delle terapie farmacologiche evidenzia come quasi il 70% del campione sia al momento in cura con farmaci per via orale, mentre il 49% si sta sottoponendo a terapie farmacologiche per via iniettiva a rilascio prolungato: nel 31,4% dei casi assume farmaci di II generazione (antipsicotici atipici) e nel 17,6% dei casi farmaci di I generazione (antipsicotici tipici) (tab. 4).
Si rilevano differenze piuttosto pronunciate se si analizzano i dati sotto il profilo dell’età del paziente: tra i più giovani è maggiore l’utilizzo di terapie più moderne (al 42,9% vengono somministrati antipsicotici di II generazione) e, al contrario, scende il consumo di farmaci assunti per via orale (57,1%) e dei farmaci di I generazione (9,5%).
Solo il 24,4% dei pazienti dichiara di essere fedele al trattamento iniziale, al contrario, il 64,7% dichiara di avere seguito in precedenza altri protocolli di cura e il 10,9% non sa/non ricorda.
In relazione all’assunzione di altri farmaci, l’indagine rileva come il 24,8% degli intervistati sia in cura per la schizofrenia anche con terapie diverse dagli antipsicotici, mentre sono limitate al 31,0% degli intervistati le situazioni di comorbidità, che crescono al salire dell’età dei pazienti (il 41,5% tra gli ultracinquantenni prende farmaci per altre patologie). Il 62,1% del campione ha beneficiato, dopo la diagnosi di schizofrenia, di sedute di psicoterapia, il 33,1% è ancora in trattamento, mentre il 29,0% vi si è sottoposto in passato e ora le ha interrotte.
Il rapporto con il medico curante e la compliance
La fiducia riposta nei confronti del proprio medico costituisce un fattore essenziale. Oltre il 70% del campione dichiara di essere coinvolto dal proprio medico nella scelta della terapia (il 34,4% si sente molto coinvolto e il 37,7% abbastanza), per converso il 23,2% è invece critico e percepisce di essere completamente estraneo al processo di definizione del percorso di cura.
Il 71,5% del campione esprime soddisfazione per l’efficacia dei farmaci per la schizofrenia (il 26,0% con più intensità, dichiarando un elevato tasso di gradimento), mentre al contrario il 20,1% si dichiara né soddisfatto né insoddisfatto, e appena il 6,0% circa denuncia scontentezza.
Il giudizio positivo nei confronti dei farmaci prescritti, si traduce in buoni livelli di compliance, infatti è il 66,0% degli intervistati a dichiarare di non scordare mai di assumere le medicine. Meno positivo è l’approccio del 20,3% dei malati che, sebbene ricordino nella maggior parte delle volte la necessità di aderire alla terapia, in qualche circostanza segnalano di non farlo, cui si somma il 3,9% che indica di seguire la terapia “spesso”. Critica è invece la condizione del residuale 2,0% dei pazienti che ricordano occasionalmente (1,3%) o raramente (0,7%) di assumere i farmaci.
Le motivazioni sottese alla mancata adesione alla terapia farmacologica sono in larga parte legate a episodi di dimenticanza (60,4%), mentre esiste un segmento del campione che giustifica tali comportamenti con la voglia di verificare come ci si può sentire senza prendere il farmaco (18,6%). Decisamente meno rilevanti le risposte che segnalano un atteggiamento critico nei confronti della terapia: il 4,7% si giustifica denunciando di non trovarsi bene con il trattamento attuale, il 9,3% si sente meglio se non assume il farmaco prescrittogli, il 2,3% vuole evitare gli effetti collaterali.
L’accesso ai ricoveri nell’ultimo anno
Nonostante il paziente possa godere di lunghi periodi di remissione dalla sintomatologia della schizofrenia, è frequente la possibilità (22,9%) che nel corso dell’ultimo anno ha avuto un ricovero in ospedale e/o in clinica privata. Per la maggioranza (67,8%) si è trattato di un unico episodio, mentre nel 25,8% dei casi è stato necessario ricorrere all’ospedale/clinica in due occasioni. In merito alla durata delle degenze, sono più ricorrenti i casi di lunghi periodi di ricovero: solo per il 9,7% di quanti hanno subito un’ospedalizzazione nel corso dell’ultimo anno questa è stata pari o inferiore a una settimana, mentre per il 45,1% si è protratta tra gli 8 e i 15 giorni, per il 19,4% tra i 16 e i 30 giorni e per il 25,8% oltre i 30 giorni, con un numero medio di giorni di degenza pari a 20. Le motivazioni del ricovero sono legate, secondo le testimonianze degli intervistati, principalmente alla decisione di sospendere su propria scelta la terapia farmacologica (18,8%) e all’inefficacia del piano di cura (15,6%).