Il percorso per ottenere la diagnosi ha rappresentato, anche secondo le testimonianze dei caregiver, un processo lungo e complesso. L’età media di insorgenza della patologia è pari a 23,8 anni. Di fronte alle prime avvisaglie della schizofrenia, i caregiver intervistati indicano l’adozione di strategie diversificate nella scelta del professionista a cui rivolgersi. Il ricorso da subito a uno specialista ha rappresentato la scelta più diffusa (nel 42,0% dei casi si è trattato di un professionista del Servizio Sanitario Nazionale e nel 17,3% di un medico privato). Il medico di medicina generale ha rappresentato il professionista interpellato nel 39,3% dei casi. Nel 42,7% dei casi il professionista interpellato è stato lo psichiatra (nel 30,0% si trattava di uno specialista operante nell’ambito del SSN e nel 12,7% di uno specialista privato), mentre l’8,0% degli intervistati si è recato da uno psicologo.
Una larga parte di caregiver intervistati ha segnalato difficoltà nell’ottenere la diagnosi per il proprio assistito, un fattore di criticità sul quale inevitabilmente impatta la tipologia di medico cui ci si è inizialmente rivolti. Maggiori problemi sono emersi nella relazione con il medico di medicina generale: il 59,8% dei caregiver sottolinea, infatti, dubbi e incertezze da parte di questi professionisti. Migliori risultati sono stati ottenuti, invece, con gli psichiatri: a fronte del 63,8% dei caregiver che non ha rilevato alcuna esitazione a loro riconducibile, è comunque il 33,9% degli intervistati a imputargli qualche titubanza nell’interpretazione dei sintomi. Complessivamente, sono stati meno interpellati gli psicologi, ai quali il 29,1% degli intervistati attribuisce qualche indecisione al momento del consulto.
Per il 39,9% dei caregiver intervistati la diagnosi è stata fatta abbastanza rapidamente (contestualmente all’insorgenza dei sintomi o al massimo in un anno di tempo), mentre sono più frequenti i casi di dilatazione dei tempi di attesa: il 15,5% dei caregiver testimonia come l’individuazione della patologia abbia richiesto più di un anno, il 17,6% tra i due e i tre anni, mentre per il 27,0% oltre tre anni.
In relazione al luogo della diagnosi, l’indagine evidenzia come questa sia stata ottenuta più frequentemente durante una visita ambulatoriale presso uno specialista (52,2%), nella quasi totalità dei casi rappresentato da uno psichiatra (40,1% del campione), mentre il 45,8% degli intervistati indica come al loro assistito sia stato comunicato di soffrire di schizofrenia nel corso di un’ospedalizzazione (tab. 10).
La difficoltà di diagnosi della patologia viene testimoniata dall’alto numero di visite mediche necessarie per il suo ottenimento: a fronte del 22,1% dei caregiver che indica di aver ricevuto l’indicazione della malattia alla prima visita, sono numerosi i casi che hanno richiesto molti consulti prima di riuscire ad avere una risposta certa circa la malattia che affliggeva il proprio assistito (il 14,9% dopo 3 o 4 visite e il 20,8% dopo 5 visite o più).
Vi è poi il 28,6% degli intervistati che indica di non essere in grado di ricordare esattamente in quale circostanza sia avvenuta la diagnosi.
Il medico che ha effettuato la diagnosi è rimasto il punto di riferimento per la cura della malattia solo per il 19,5% degli assistiti dei caregiver intervistati. La rilevazione ha permesso di mettere in luce come gli assistiti dei caregiver intervistati, che non sono più in cura presso il professionista che ha fornito la diagnosi iniziale, abbiano cambiato in media 4 medici. Nello specifico: il 25,6% dei caregiver segnala che il proprio assistito è stato in cura da almeno 2 medici, il 30,4% da 3 medici, il 24,8% da 4 o 5 medici e il 19,2% da oltre 5 medici.
Il panorama delle motivazioni addotte per spiegare la scelta del cambio del medico consente di definire due insiemi di problemi: in primis vengono segnalate le criticità legate alla qualità delle cure prestate. Il 34,2% degli intervistati indica di non aver sentito nei confronti del proprio assistito la giusta attenzione da parte del medico e il 5,8% lamenta di non aver ricevuto sufficienti informazioni sulla malattia. Il 28,3% specifica come il cambio di medico sia stato “subito” e non frutto di una scelta e il 10,8% individua nella distanza dal centro la ragione della sostituzione del professionista sanitario di riferimento.